Il diritto alla maternità e all’aborto è una questione personale

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Redazione BookToBook
14 Lug 2022

In questa lunga estate calda, in questo strano e tormentato anno in cui certi diritti che credevamo acquisiti paiono invece essere messi in discussione – il diritto alla pace minacciato dalla guerra in Ucraina; il diritto all’aborto, negato dalla recente sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti d’America – ancora una volta ci vengono in soccorso i libri. Leggere è un diritto, conoscere è un diritto. Chi ama i libri lo sa: la parola scritta, che sia narrata dai personaggi di un romanzo o spiegata nelle pagine di un saggio, è sempre un buon modo per tentare di capire il mondo, per interpretarne gli inquietanti colpi di coda di un passato da guerra fredda e barbarie che non avremmo mai più voluto rivivere, o per esaminarne le contraddizioni – come appunto l’America a stelle e strisce baluardo della democrazia, della libertà e del progresso che contraddice se stessa con uno spiazzante diniego dei diritti delle donne, guadagnati a fatica lungo decenni di storia dell’umanità, di lotte e di movimenti civili.
Nell’uno e nell’altro caso, al centro della narrazione agghiacciante del conflitto bellico alle porte dell’Europa e delle manifestazioni di protesta che stanno scuotendo la più grande potenza democratica del mondo, ci sono le donne.

Gli scritti di Miriam Mafai, tra guerra, Resistenza e politica

«Luciana che partorisce in un basso di Napoli nell’intervallo tra due bombardamenti; Bianca che con i figli, il grammofono e la cassetta dei gioielli attraversa a piedi l’Abruzzo; Marisa che a Roma occupata dai tedeschi impara a sparare; Sofia che da Milano si rifugia con le sue provviste di tè e la sua biblioteca in un paesino al confine con la Svizzera; Zita, la mondina di Cavriago che ha il fratello partigiano e il fidanzato nell’esercito repubblichino; e ancora la confinata Cesira, Lela che comanda le ausiliarie di Salò nel Veneto; Carla che durante tutta la guerra fa la postina aspettando il ritorno del marito; Lucia che impara a guidare il tram a Milano e il marito non lo aspetta più; la Biki che continua imperterrita a preparare le sue collezioni di abiti da sera…: queste e tante altre sono le donne che ho avuto la fortuna di conoscere e di cui a un certo punto ho avuto voglia di scrivere la storia.»

A scrivere è Miriam Mafai, tra le più grandi giornaliste italiane, vissuta a cavallo degli ultimi due secoli. Nata nel 1926, ha vissuto la guerra, ha partecipato alla Resistenza, ha ricoperto numerosi incarichi politici e ha dedicato la sua vita alla scrittura, lasciandoci parole senza tempo come quelle che compongono Pane nero. Donne e vita quotidiana nella Seconda guerra mondiale, che Bur ha riportato in libreria con la prefazione di Annalisa Cuzzocrea, vicedirettrice de “La Stampa”.

«Il prezzo che le donne hanno pagato alla guerra, in un protagonismo nuovo e misconosciuto, troppo poco raccontato e poco letto, è la cifra di ogni pagina di Pane nero», scrive Annalisa Cuzzocrea nella prefazione. «Se qualcuno verrà a chiedervi cos’è la guerra, anche adesso che è tornata in Europa come mai avremmo creduto potesse accadere di nuovo, leggetegli questo libro».

Pane nero ricostruisce l’Italia durante gli anni del conflitto bellico dalla prospettiva delle donne protagoniste loro malgrado, ne descrive la quotidianità sotto i bombardamenti, ci racconta la storia mai scritta fino ad allora – il libro uscì nel 1987 – del ruolo fondamentale che le donne, le madri, le figlie ebbero una volta ritrovatesi sole, gli uomini al fronte, a occuparsi della famiglia e del Paese, a lottare contro la fame e la povertà.

Pane nero

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«La fame e la guerra spingono dunque le donne fuori di casa, le obbligano a cercare un lavoro, a prendere decisioni, ad aiutare coloro che sparano o a sparare loro stesse; le obbligano a uscire dal ruolo che era stato loro affidato dal fascismo e dalla Chiesa, di “moglie e madre esemplare”. Questa uscita dal ruolo non avviene sempre coscientemente. In molti casi, al contrario, si giustifica proprio col desiderio di mantenere fede fino in fondo a una tradizionale immagine di sé. Ma, una volta vissuta, la trasgressione incide nella coscienza di tutte, rivelando l’esistenza e la possibilità di percorsi individuali sconosciuti, certo più accidentati ma anche più gratificanti di quelli che alle donne erano riservati in passato. La necessità diviene o può divenire allora una scelta, una cosciente assunzione di nuove responsabilità, l’apertura di un orizzonte nuovo, di un modo diverso di essere donna e persona.»

Pane nero è un libro fondamentale a tutt’oggi per la questione femminile, e non soltanto in Italia, alla luce della decisione della Corte suprema statunitense che lo scorso 24 giugno ha abolito la storica sentenza Roe vs. Wade che nel 1973 aveva legalizzato l’interruzione di gravidanza.

«Rileggendo Pane nero o la sua autobiografia Una vita, quasi due», conclude Cuzzocrea, «un elemento appare con sempre più forza ed evidenza a ogni passaggio, a ogni scelta, a ogni lotta, che fosse per il divorzio o per l’aborto, per i diritti civili o quelli sociali. Miriam Mafai sentiva il dovere di essere libera.»

Il mondo avrà sempre bisogno di voci libere. Ne hanno bisogno ancor di più le giovani generazioni, consapevoli o disorientate, affamate di vita e di prospettive per il futuro, contestatarie e ribelli com’è giusto che siano.

Una vita, quasi due

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La maternità non è un dovere

«A restare incinta siamo noi donne, a partorire siamo noi donne, a morire partorendo, o abortendo o non abortendo, siamo noi donne. La scelta dunque tocca a noi, la decisione tocca a noi donne, che lo vogliate o no. Lo abbiamo fatto per millenni, continueremo a farlo. Abbiamo sfidato per millenni le vostre prediche, il vostro inferno, le vostre galere. Le sfideremo ancora […] Se tenete tanto alla vita, ricordatevi che esiste anche una cosa peggiore dell’aborto, che si chiama guerra. Io sono stata alla guerra, e ci sono stata per tre anni in Vietnam, e vi assicuro che piangevo molto di più a vedere gli uomini che mandate voi politici a morire a vent’anni.»

Era la voce libera di Oriana Fallaci a metà degli anni Settanta, nel pieno del dibattito sull’aborto. Ancora oggi i giovani leggono Lettera a un bambino mai nato, un altro libro senza tempo, il monologo di una donna che a metà degli anni Settanta interroga la propria coscienza e quella di tutti noi: basta volere un figlio per costringerlo alla vita? Ed è giusto sacrificare una vita già fatta a una vita che ancora non è?

Sono passati cinquant’anni da quando Oriana Fallaci sosteneva il diritto alla maternità non come un dovere ma come una scelta personale e responsabile, e ancora oggi molte donne e molte scrittrici dopo di lei, da ogni parte del mondo, continuano a parlarne e a scriverne. E la ragione è perché sul corpo delle donne si continuano a combattere battaglie che ben poco hanno a che vedere con la difesa dei diritti delle donne e non solo delle donne.

La paura è un peccato: le più belle citazioni dalle lettere di Oriana Fallaci

L’emancipazione femminile secondo Elizabeth Zott

Ci sono i libri che continuano a raccontare, a narrare, a difendere i diritti delle donne e l’emancipazione femminile, che è emancipazione di tutti.

«Cambiare le leggi arcaiche della società è molto difficile», spiega Bonnie Garmus, autrice bestseller che col suo romanzo d’esordio, Lezioni di chimica edito in Italia da Rizzoli, ha presentato al mondo una donna, Elizabeth Zott, che non è soltanto un personaggio di fiction.

L’emancipazione femminile americana è passata attraverso uno show di cucina

Elizabeth è una giovane chimica che negli anni Cinquanta del secolo scorso lavora all’Hastings Research Institute in California, dove il suo talento viene oscurato e sabotato a beneficio del prestigio e del potere dei colleghi e dei superiori maschi. Subirà ingiustizie, ostacoli, calunnie, sgambetti, violenze ma non si arrenderà, fino a ottenere un successo inaspettato, come vi abbiamo raccontato qui.

«Elizabeth accoglie la sfida ricordando alle donne la materia di cui sono realmente fatte a livello molecolare», dice l’autrice, che ammette a sua volta di essersi sentita ostacolata e sottovalutata nella sua carriera professionale, ma aggiunge: «Credo che la maggior parte degli uomini e delle donne l’abbia provato, ed è per questo che Elizabeth Zott parla a così tanti lettori, perché rifiuta di accettare i limiti imposti da quelle persone che cercano continuamente di indebolire gli altri».

Maternità tra fiction e non-fiction

Nel libro Elizabeth afferma che il coraggio è la matrice del cambiamento e, scrivevamo tempo fa a proposito di un altro libro scritto da una donna, ci vuole coraggio a svelare tutto di sé: Emilie Pine lo ha fatto nel suo memoir Appunti per me stessa, indagando se stessa con crudezza nei sei capitoli-confessione in cui ha raccontato anche dell’esperienza lunga e dolorosa della maternità sperata.

A squarciare il velo sull’ipocrisia sociale che ingabbia la maternità in un ideale romantico e i figlioletti in angeli caduti dal cielo, mentre nella realtà possono non esserlo affatto, è la scrittrice Ashley Audrain, autrice de La spinta. Come già vi raccontammo all’uscita del libro in Italia, Audrain iniziò a scriverlo sei mesi dopo la nascita del suo primo figlio. La voce narrante è quella della protagonista, Blythe, che scrive una lunga lettera indirizzata all’ex marito e nella quale ripercorre a ritroso le vicende tragiche e incredibili che l’hanno allontanata dal marito e dalla figlia primogenita Violet.

Romanzi Mum Noir: una sfida a ciò che pensi di sapere sulla maternità

Audrain scava nell’animo di una madre (o di tutte le madri?), dice quel che di solito non si dice, confessa l’inconfessabile dando forza all’etichetta del mum noir, nuovo filone del thriller psicologico che vede protagonista la maternità.

Stefania Andreoli, psicologa e psicoterapeuta tra le più autorevoli e seguite in Italia – come vi spiegavamo in questo pezzo – nel suo nuovo saggio Lo faccio per me. Essere madri senza il mito del sacrificio rivendica il diritto delle donne di poter dire, appunto, “lo faccio per me”, senza farsi condizionare dalla pressione sociale esercitata da secoli, senza doversi sentirsi in colpa perché da una madre ci si aspetta che rinunci a sé per dare priorità ai bisogni della prole e che non si ribelli agli stereotipi sull’istinto materno, sulla genitorialità a tutti i costi. Stefania Andreoli dice: «Diventiamo madri, nessuna lo è per natura».

Lo faccio per me

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Il tema della maternità è invadente e fagocita l’interezza di una donna, la sua integrità di persona, di figlia, di lavoratrice, di partner. Nel romanzo Le nove vite di Rose Napolitano, la scrittrice Donna Freitas, di cui potete leggere in questo pezzo dedicato, disegna nove sliding door, nove bivi posti nello stesso identico istante che porteranno la protagonista a condurre nove esistenze diverse in tema di maternità. Perché, fuori dalla finzione letteraria, alle donne è concessa solo una scelta e in moltissimi casi la pressione è schiacciante. Voglio diventare davvero madre? Qual è il problema che mi fa rifiutare la maternità? Quando, esattamente, dovrei diventare madre? Ed è giusto, come s’interrogava cinquant’anni fa Oriana Fallaci, sacrificare una vita già fatta a una vita che ancora non è? In nome di quale diritto?

Per approfondire