La grammatica delle relazioni affettive secondo Michela Marzano

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Redazione BookToBook
06 Ott 2023

Non è una minigonna, non è una sbronza, non è tornare a casa nel buio della notte, non è la gelosia, non è la disperazione per la fine di un amore, non è il rifiuto a provocare, a giustificare la violenza sulle donne. Non è colpa delle donne. Sgombriamo il campo da pregiudizi e da stereotipi, smettiamola di insinuare o di accettare che gli altri insinuino che le vittime un po’ se la sono cercata, rifiutiamo la superficialità di certi giudizi sommari soltanto perché più rassicuranti rispetto a spiegazioni più complesse e più ingombranti da assimilare, facciamolo per tutti noi, per il diritto alla libertà che ogni persona ha di vivere la propria vita senza essere offesa, aggredita, oltraggiata, stuprata da un orco, con o senza la cravatta, con o senza fissa dimora, fuori o dentro casa, conosciuto o sconosciuto, amico ex marito insegnante o collega che sia.

«Se prendiamo l’insieme di tutte coloro che hanno subito violenze, stupri e molestie – giovani e meno giovani, magre e meno magre, eterosessuali o lesbiche – e lo chiamiamo Q, all’interno di Q sono in tante a convincersi di essere le sole responsabili di ciò che hanno vissuto.»

Chi parla è Anna, la protagonista di Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa, il nuovo romanzo di Michela Marzano, scrittrice e filosofa, docente all’Università di Parigi V René Descartes, editorialista de “la Repubblica” e “La Stampa”, che sceglie il lessico della letteratura per dare voce alle donne ma non solo, per dare corpo e parole a una riflessione che sia personale e collettiva, per tenere acceso un dibattito a cui siamo tutti chiamati a partecipare con le nostre esperienze e sensibilità, con i nostri sensi di colpa e le nostre ferite.

Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa

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«Mi chiamo Anna, e quella che state per leggere è la mia storia. Quella vera, non aspettatevi un’infanzia spensierata e un matrimonio sereno, non è così che funziona la vita, i romanzi, forse, ma questo non è un romanzo», si legge nell’incipit di Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa, in libreria per Rizzoli. «Cioè. Ogni vita è un romanzo, ma quando si scrive si imbellisce, si cancellano gli spigoli, e questa, invece, è la storia vera di Anna che, un giorno, ha deciso di dire basta».

Di cosa parla Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa

A leggere il libro della filosofa che da molti anni si occupa del tema del consenso, è assai probabile che ritroveremmo traccia di noi, talmente umano e vitale e intergenerazionale è l’argomento su cui si concentra l’autrice per raccontarci la storia di Anna e, attraverso di lei, l’attualità delle nostre vite, della società in cui abitiamo e della cultura dello stupro di cui è purtroppo intrisa. «La gente sembra far fatica a rendersi conto della gravità dei fatti, delle difficoltà, soprattutto, che incontra una vittima a riprendersi», dice Anna ai suoi studenti del master di giornalismo; «ci vuole quasi sempre un tempo infinito prima di riuscire a nominare esattamente ciò che si è vissuto, e un tempo ancora più infinito per ricominciare a vivere. Anche quando si fa di tutto per lasciarsi alle spalle la violenza subita, c’è sempre come una sorta di disgusto sia nei confronti degli altri, sia verso se stessi. Il vero problema, però, è quando una donna che è stata violentata o molestata non viene creduta. Questa cosa la colpevolizza ancora di più, e rischia di annientarla. Perché a tutto ciò che ha vissuto si aggiunge poi anche il peso della vergogna».

Anna vive a Parigi, dove lavora come giornalista radiofonica, alle spalle un matrimonio con un uomo violento. Le hanno appena affidato un paio di corsi al master di Giornalismo dell’università di Sciences Po. Alla classe di ragazze e ragazzi più grandi decide di proporre un argomento assai discusso, diciamo pure urgente: l’eredità del movimento del #MeToo a cinque anni dalla sua nascita. «Sono sicura che il tema li tocchi da vicino, in tv e sui giornali non si fa che parlare di molestie e di stupri», riflette la protagonista, e noi che leggiamo non possiamo che annuire, di fronte a una barbarie che occupa le prime pagine dei quotidiani italiani da settimane, da mesi, da anni, non ultimo il caso dello stupro di gruppo subito da due bambine a Caviano. La conta dei femminicidi, delle molestie e delle aggressioni, delle violenze di genere non si arresta, e ogni giorno ci ritroviamo a chiederci perché accade ancora, cronaca nera che più nera non si può, fotografia indigesta di una società che ancora si macchia di crimini contro le donne, le ragazze, le bambine, che ci sconvolgono per l’atrocità, per la premeditazione, per la disumanità.

La violenza contro le donne è una “violazione dei diritti umani”

Rispetto e consenso a cinque anni dal #MeToo nel romanzo di Michela Marzano

Fin da piccola Anna ha sempre cercato approvazione e consenso, un padre assente da casa per lavoro, una madre che appare sempre impeccabile ma che in realtà è incapace di ascoltare la figlia, anche quando lei tenta di confessarle un abuso subito a scuola. Anna aveva un sogno, fare l’attrice, ma quando inizia a frequentare uno stage di teatro a Parigi, si rende conto sul palco, durante le lezioni, che gli sguardi sul suo corpo la mettono in difficoltà. È un rapporto conflittuale quello che ha da sempre col suo corpo, quando si relaziona con gli uomini, ne ha avuti tanti in passato, dai quali si è lasciata usare e umiliare, credendo a qualunque cosa le dicessero prima di portarla a letto. «Ma come fanno, le altre, a farsi sempre rispettare?», continua a chiedersi Anna, ripercorrendo il proprio passato. A cosa acconsente una persona quando si innamora? «E poi scopre che di amore non ce n’è affatto, oppure ce n’è troppo poco? Cos’è in gioco quando una persona acconsente a una storia o una relazione e poi si trova dentro un ingranaggio oscuro, magari costretta a subire cose cui mai avrebbe acconsentito se solo avesse potuto immaginarle? Pare che il crimine perfetto sia l’amore, l’unico evento dell’esistenza capace di spingerci a disertare noi stessi, a scegliere un altro piuttosto che sé, pure quando l’altro ci è nemico, quasi a sfidarne la violenza, nel tentativo disperato di esorcizzarne la mancanza.»

 

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Il romanzo di Michela Marzano va dunque ben al di là della cronaca di uno stupro, è una grammatica delle relazioni affettive, scava a fondo nella natura delle relazioni che appartengono al tessuto delle nostre vite, all’infanzia e alla maturità, indaga i rapporti coi genitori e quelli con amanti, coniugi, compagni per fare luce sulle zone d’ombra del consenso, laddove si annidano i nodi emotivi, i retaggi culturali su come funziona il desiderio nei maschi e nelle femmine, i fraintendimenti sul concetto di libertà sessuale.

«Quand’è che il consenso è libero e quando, invece, è forzato?» è uno degli interrogativi di fondo del romanzo, con il quale Michela Marzano ci invita a ragionare sulla violenza di genere così come sulle dinamiche dei rapporti sessuali e amorosi da una prospettiva più ampia e strutturale, sociale e culturale.

«Dove inizia e dove finisce la violenza? Esiste una gradualità nella scala dell’orrore? Esistono casi in cui la vittima sarebbe vittima solo al 50 o al 40 o al 30 per cento, mentre in altri casi lo sarebbe al 100 per cento? Si può dire che si è state abusate quando non si può negare di essere state attratte, di aver provato del desiderio?» sono alcune delle domande che Anna pone in classe alle studentesse e agli studenti, in un dialogo tra generazioni che Marzano costruisce con cura lungo tutto il romanzo, con uno sguardo attento ai giovani, un ascolto alle istanze e alle emozioni dei ragazzi e delle ragazze.

«A cosa si consente esattamente quando si acconsente a una relazione? Come si comporterà lui nel momento in cui avrà accesso alla mia intimità?»

Attraverso la finzione narrativa e il personaggio di Anna, Michela Marzano ripercorre la storia vera del movimento Me Too, cita le donne e le filosofe che hanno contribuito al dibattito nel mondo, le attiviste dei diritti civili da Tarana Burke a bell ooks, riprende in mano la filmografia e la letteratura, da Via col Vento a Lolita, per ricomporre il quadro di un’epoca disorientata, incapace di ritrovare valore e significato, a partire dal linguaggio.

Ma non solo. Marzano affida ad Anna la confessione di abusi subiti da lei stessa quand’era bambina: il romanzo si apre infatti su una scena che non vorremmo vedere, che non vorremmo sentire. Anna ricorda, racconta di aver subito a undici anni una molestia da parte del suo professore di matematica, Donno, sulla quarantina, in classe, durante una lezione.

«Immaginate che Donno sia adesso seduto, e annunci che è arrivato il momento di aprire il manuale di scienze.
Immaginate che, quando gli alunni hanno davanti agli occhi il capitolo sulla teoria cellulare, chieda alla bambina di undici anni di avvicinarsi alla cattedra per leggere a voce alta. E che Anna obbedisca, rimanendo in piedi accanto al professore.
Immaginatela mentre legge: “La teoria cellulare ci porta ad affermare che ciò che distingue il mondo dei viventi da quello dei non viventi è la presenza delle cellule”.
Immaginate che la mano del professore si infili nella tasca dei pantaloni della bambina.
Immaginate che Anna, a quel punto, pronunci “vivanti” invece di “viventi”.
Immaginate le risate della classe.»

«Volevo iniziare dalla verità vissuta, qualcosa di accaduto a me», ha spiegato Michela Marzano a Francesca Visentin, che l’ha intervistata per il “Corriere del Veneto”, «per poi diventare Anna, immergermi nel romanzo, interrogarmi sul significato di consenso, vittima, violenza».

Così ascoltiamo la voce di Anna leggendo le pagine di Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa:

«Non c’è consenso senza corpo, non basta il linguaggio a significarlo, e chi dice il contrario ignora il viso e le emozioni, ignora i movimenti, ignora il suo essere a metà strada tra le parole e i gesti, il dire e il fare, due modi diversi, a tratti opposti, di esprimersi. E poi tra due persone, uomo o donna importa poco, che utilizzano più lingue e più linguaggi, da quello fisico a quello affettivo, linguaggio materiale e parola psichica.»

Anna invita gli studenti a porsi sempre domande, a interrogarsi sempre, come insegna nel giornalismo la regola delle cinque W – who what where when why – per andare a fondo, per capire cosa c’è dentro a ogni relazione, cosa c’è dietro a ogni “sì” e a ogni “no” detto o non detto da una donna a un uomo (o viceversa). Quante volte lei stessa, Anna, e noi stessi abbiamo detto sì anche se avremmo voluto dire no? Quante volte abbiamo accettato che le cose accadessero senza dare esplicitamente il consenso? Quante volte abbiamo ceduto anziché consentire o non consentire?

Sto ancora aspettando che qualcuno mi chieda scusa ci insegna a porci delle domande e a cercare delle risposte, a non permettere che siano gli altri a doverci chiedere scusa, a perdonare noi stesse per quel che non siamo riuscite a dire.

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