Il nuovo saggio di Lilli Gruber delinea il quadro della porn economy

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Redazione BookToBook
06 Mag 2024

È in media all’età di dodici anni che si accede per la prima volta a contenuti pornografici online, secondo lo studio di un istituto di ricerca statunitense che a fine 2022 ha intervistato oltre 1300 ragazze e ragazzi tra i tredici e i diciassette anni. Secondo le stime prudenziali dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), delle 28 milioni di persone sottoposte a lavoro forzato, 6,3 milioni sono donne, costrette alla prostituzione o ad altre forme di lavoro sessuale come la pornografia. Alla fine del 2023, il report sui cyber-reati della polizia postale italiana ha rilevato che i casi di adescamento online riguardano in larga maggioranza minori tra i dieci e i tredici anni.

Non farti fottere

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Sono questi soltanto alcuni dei moltissimi dati che fotografano uno scenario tanto inquietante quanto relegato ai margini del dibattito pubblico, su cui invece ha deciso di puntare i riflettori Lilli Gruber nel suo nuovo saggio dal titolo volutamente forte e provocatorio, Non farti fottere. Come il supermercato del porno online ti ruba fantasia, desiderio e dati personali. La nota giornalista, conduttrice della trasmissione televisiva di successo Otto e mezzo, prima donna a presentare un telegiornale in prima serata, per molti anni inviata della Rai sui fronti caldi del mondo nonché autrice di molti libri bestseller, ci invita oggi a riflettere su un fenomeno sociale ed economico alquanto opaco, sia sul fronte dei profitti – chi e come si intasca i guadagni di una macchina che macina miliardi ogni anno di più – sia su quello dei diritti – chi e come subisce sfruttamento professionale, violenze fisiche e psicologiche, violazione della privacy e malsani finti modelli di sessualità.

In Non farti fottere Gruber delinea il quadro della porn economy

La questione è tanto articolata quanto delicata anche e soprattutto perché, come ben fa capire Lilli Gruber sin dalle prime pagine del volume in libreria per Rizzoli, i soggetti più a rischio risultano essere i giovani, anzi i giovanissimi, e le donne, dentro e fuori gli schermi digitali nei nostri telefonini.

D’altronde, quello della porn economy è un business che negli ultimi decenni ha raggiunto dimensioni colossali, come ci avverte subito Lilli Gruber, che in questo libro-inchiesta non soltanto raccoglie e analizza i risultati più recenti e significativi dei principali studi condotti nel mondo, ma attualizza il dibattito con una serie di interviste che riportano l’esperienza diretta, le testimonianze e le riflessioni dei vari protagonisti del settore – produttori dell’industria cinematografica del porno, attrici e attori, star del sesso divenute famose su piattaforme come OnlyFans, medici ed esperti nei vari campi della sessualità, delle tecnologie digitali, dell’economia delle big tech. Un reportage dettagliato e illuminante che non può lasciarci indifferenti, anche soltanto per il fatto che fa luce su questioni che toccano direttamente le nostre vite, dal tema del consenso a quello dell’educazione sessuale e sentimentale dei nostri figli a casa e a scuola, dalla questione della protezione dei nostri dati personali in rete fino all’urgente tema della prevenzione della violenza sulle donne.

Per comprendere appieno la portata di un fenomeno globale quale è il supermercato del porno online, come lo definisce incisivamente Lilli Gruber sin dal sottotitolo del libro, si sappia per esempio che, in base ai dati pubblicati dal centro studi americano Statistics&Data, «le cinque maggiori piattaforme del porno hanno avuto, nel 2022, una media mensile di 10 miliardi di accessi»; secondo EarthWeb, che analizza il traffico di internet, «al giorno d’oggi, nel mondo, circa 2,5 milioni di persone ogni 60 secondi visitano i siti porno più popolari». Secondo i dati diffusi da Pornhub, tra i principali siti di video hard, «nel 2022 l’Italia è in sesta posizione tra i principali fruitori, nel 2023 in ottava».

Quali sono i pericoli insiti nella rete?

Non si tratta però, come dichiara preliminarmente e giustamente Lilli Gruber, di condurre una crociata morale contro la pornografia. Si tratta di acquisire, in quanto liberi cittadini, genitori, educatori e fruitori del sesso online, la consapevolezza dei rischi e dei pericoli insiti nella rete, dalla rivendita delle nostre informazioni personali a opera dei data broker fino a veri e propri reati come il revenge porn e la sextortion.

Sempre dalla ricerca statunitense condotta sul campione di 1300 ragazze e ragazzi, leggiamo che il 79 per cento afferma di «aver appreso grazie ai siti hard come fare sesso, e sempre il 79 per cento ha compreso in questo modo i dettagli anatomici del corpo umano. Il 73 ne ha ricavato informazioni su ciò che piacerà a loro e ai loro partner. Addirittura, “un desiderio di capire meglio le proprie preferenze sessuali era la ragione principale per consumare la pornografia”. Il 27 per cento era convinto di trovarsi di fronte a “una rappresentazione accurata del modo in cui fa sesso la maggioranza delle persone”». E qui arriviamo a uno dei punti cruciali su cui insiste Lilli Gruber, ovvero i giovani di oggi sono diventati, per forza di cose, degli autodidatti dell’eros grazie alla pornografia. «È vero che i ragazzi, da che mondo è mondo, per apprendere la ginnastica dell’amore seguono vie traverse: un tempo giornaletti, videocassette, dvd», scrive la giornalista.

«Non è una novità che di sesso si parli il meno possibile a casa, per niente a scuola, tanto e male tra amici. Ma mi sembra preoccupante l’idea che possano considerare le attuali produzioni del porno online come una rappresentazione verosimile e non una fiction. L’obiettivo delle piattaforme hard non è l’educazione ma la massimizzazione del pro- fitto, proprio come per una serie o un videogioco. Prendere per buone e vere queste narrazioni significa entrare in una distopia in cui, nella maggior parte dei casi, l’uomo è uno stallone con una donna al suo servizio».

La facilità con cui si accede in rete ai contenuti pornografici, insieme con la gratuità di milioni di brevi video hard visionabili da tutti, sono tra i fattori che più trainano sia il consumo online anche da parte di minorenni, occorre ribardirlo, sia i profitti milionari dei padroni (spesso invisibili) delle piattaforme digitali di produzione e distribuzione dei contenuti.

Spiega Gruber: «Il porno ha cambiato forma. La scena di sesso oggi è una sorta di spot della durata standard di dieci minuti. Il consumo massiccio e gratuito di queste clip è la base di un nuovo modello economico che ha due obiettivi. Il primo: indurre almeno una piccola percentuale dei consumatori a sottoscrivere l’abbonamento premium. Il secondo: ricavare il massimo dalle pubblicità grazie al traffico sulle piattaforme». La gratuità permette di attrarre gli spettatori «verso altri tipi di prodotti come il camming e il sexting a pagamento. Con questa offerta “freemium”, i creator riescono a conquistare grande visibilità sugli aggregatori gratuiti, per poi monetizzarla fornendo prestazioni a pagamento».

A essere preoccupante, poi, è un altro dato di fatto dell’industria del porno: nella maggior parte delle produzioni video, il ruolo delle donne è subordinato alla prevaricazione dei maschi, soggette spesso a soprusi e violenze.

«I codici sono chiari», fa notare Lilli Gruber. «Il corpo femminile, ridotto ai suoi orifizi, serve come ricettacolo dell’esplosione del piacere dell’uomo». Spesso, ma non sempre, «anche la sofferenza, la violenza, la vittima presa contro la sua volontà, umiliata e ferita sono opzioni diffuse. Siamo nel mondo dei corpi intercambiabili e senza valore, compresi quelli maschili. Tra adulti consapevoli, non c’è da scandalizzarsi. Ma, come abbiamo visto, il porno non è più, se mai lo è stato, una faccenda per adulti consapevoli».

Nelle prime pagine del suo libro-inchiesta Lilli Gruber ricorda non a caso le parole di Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, uccisa dall’ex fidanzato l’11 novembre del 2023. Nella lettera pubblicata dal “Corriere della Sera”, Elena scriveva: «La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling. Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura».

Dalla ricerca statunitense apprendiamo ancora che la maggioranza degli adolescenti che hanno guardato porno «è stata esposta a forme di pornografia aggressiva e/o violenta. Un allarmante 52 per cento ha detto di aver assistito a “stupro, soffocamento o sofferenza”. Ad appena a uno su tre è sembrato che ci fosse consenso. Ho tenuto per ultimo un numero che possiamo considerare in positivo o in negativo», scrive Lilli Gruber. «Tra gli adolescenti di sedici e diciassette anni, il 21 per cento “credeva che alla maggioranza delle persone piaccia essere picchiato durante il sesso”. “Solo” un giovane su cinque arriva a pensare che la violenza sia un fattore positivo: un campanello d’allarme, e forse un dato non del tutto estraneo alle pratiche brutali che troppe donne si ritrovano poi a subire tra le pareti domestiche. Uno scenario del genere è il sintomo di una vera emergenza educativa».

Come spiegano nel libro la professoressa Rosi Braidotti, filosofa, e la professoressa Alessandra Graziottin, ginecologa, la pornografia online non è responsabile della violenza sulle donne, «ma è un aspetto del “trasloco” di tante nostre esperienze di relazione, che si stanno spostando dal mondo reale a quello virtuale, e viceversa. Compriamo online, ci incontriamo online, ci fidanziamo e ci lasciamo online. E questo rapido cambiamento rischia di sfuggirci di mano: secondo Graziottin, è “una deriva digitale che noi non controlliamo più”».

Fra le tante testimonianze raccolte nel libro dalla giornalista c’è quella dell’attrice Charlotte Stokely, una lunga esperienza professionale alle spalle; dal 2022 è membro del consiglio d’amministrazione dell’organizzazione non governativa The Cupcake Girls, che ha l’obiettivo di assistere le professioniste del cinema porno nella lotta contro ogni forma di coercizione nell’industria. Harmony Dust Grillo, un passato da attrice e un presente da attivista per i diritti delle donne, dice chiaramente che «essere un oggetto sessuale è un requisito in questo settore», così come testimonia Linda Lovelace, la protagonista del film cult Gola profonda: «Ogni volta che qualcuno vede quel film, mi guardano mentre vengo stuprata». Il film arrivò nelle sale di New York il 12 giugno 1972, «fece un milione di dollari di incasso nella prima settimana, l’equivalente di sette milioni oggi. In sei mesi, erano già triplicati. Nulla di simile si era mai visto in questo genere cinematografico. Linda Lovelace per la sua performance ricevette 1.250 dollari», ci ricorda l’autrice di Non farti fottere. «Il concetto di sfruttamento non è appannaggio esclusivo del settore pornografico, tutt’altro», tiene a precisare Lilli Gruber. «In tutto il mondo del lavoro si possono ritrovare logiche analoghe: la sottomissione a gerarchie di potere, i rischi professionali, la dittatura del profitto e nei casi peggiori la disumanizzazione e forme prossime alla schiavitù. Ma nel cinema hard dell’era di internet, lo sfruttamento è particolare. I pilastri del libero mercato, domanda e offerta, in questo caso sostengono infatti un fenomeno colossale che è la pornificazione delle nostre società. Il porno – e si badi bene, non la sessualità – è ovunque. Ma allora perché non se ne parla?».

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