Dantedì. Luigi Garlando manda all’Inferno Dante!

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Redazione BookToBook
25 Mar 2020

Sai cos’è il Dantedì? Si tratta del giorno in cui gli studiosi collocano l’inizio della discesa agli inferi del sommo poeta che, con la guida di Virgilio, si addentrò nella Selva Oscura un 25 di marzo.

E quale giorno migliore del Dantedì per mandare all’Inferno Dante?

Tranquillo, non ti stiamo di certo istigando a mandarlo al diavolo proprio durante questa giornata eccezionale… anche perché, ci ha già pensato Luigi Garlando!

Proprio così: uno degli autori più amati dai ragazzi di tutta Italia si è messo alla prova con il sommo poeta e durante il primo Dantedì ha raccontato in una diretta su Facebook il come e il perché di questa bizzarra avventura.

Quel che ne è scaturito è Vai all’Inferno, Dante! il nuovo romanzo di Luigi Garlando disponibile in tutte le librerie d’Italia e store online.

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 Dantedì – Vai all’Inferno, Dante!

il testo che segue è tratto da Vai all’Inferno, Dante! di Luigi Garlando

Entriamo, lui per primo.

Si ferma davanti a un piccolo altare laterale, sotto il quale, posata a terra, c’è una spessa lastra di pietra grigia. La lapide spiega di che cosa si tratta: “Pietra tombale di Beatrice Portinari”.

Accanto all’altare c’è un cestino di vimini rosso pieno di foglietti di carta ripiegati. Sono messaggi d’amore lasciati dagli innamorati di tutto il mondo, come succede a Verona nella casa di Giulietta, la tipa di Romeo.

Dante sta guardando un quadro colorato, appeso a una parete, che ritrae un uomo e tre donne davanti all’ingresso di questa stessa chiesa. L’uomo è lui, vestito come adesso. La ragazza davanti a lui, con i capelli biondi e una veste lunga, dorata, è Beatrice, che precede sua madre e la sua tata. O almeno, così dice la scritta sotto il quadro.

«Vi beccavate a Messa, in questa chiesa?» chiedo.

Il Poeta mi risponde senza distogliere lo sguardo dal quadro:

«Quel dì mi regalò il bel saluto.

Per la seconda volta l’incontravo,

i diciott’anni già aveo compiuto.

La prima volta nove ne contavo.

La terza volta non ci fu concessa».

Un momento, mi sfugge qualcosa.

Chiedo lumi: «Non capisco, Dante. Hai visto Beatrice due volte solo in tutta la tua vita?».

«Così andò. Cosa ti fa perplesso?»

«Cosa mi fa perplesso?!» ripeto. «Ascolta, Poeta: stiamo parlando di Dante e Beatrice, cioè di una delle storie d’amore più celebrate di sempre. Tu ci hai scritto sopra libri su libri e noi ce li siamo letti tutti. Vengono ancora dalla Cina e dalla Lapponia per infilare messaggi in questo cestino rosso e adesso scopro che vi siete visti due volte in tutta una vita, di cui una quando eravate alle elementari. E non vi siete neppure dati un bacio. Giusto?»

Dante sembra stupito del mio (legittimo) stupore:

«Io avevo moglie, lei avea marito

e sol teneva venticinque d’anni

quando il suo corpo qui fu seppellito

come una rosa. Ma perché ti affanni?».

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«Mi affanno perché non capisco…» spiego. «Come si può dedicare una vita intera a una tipa che hai visto due volte e che ti ha rivolto la parola solo per dirti ciao? Paolo ha baciato Francesca tutto tremante. In giro c’è gente che ci ha lasciato le penne per quella passione, come quel poveraccio di Romeo… Quelle sì che sono state storie sofferte, vissute, potenti, infatti ci hanno fatto pure dei film. Ma la vostra, con tutto il rispetto… Cioè, è come se adesso, uscendo da questa chiesa, io incrocio una tipa che mi garba, lei mi saluta e io passo il resto della mia vita a scrivere poesie per lei. Ti sembra normale?»

Dante si passa una mano sugli occhi sconsolato, come in genere fanno i professori davanti ai miei compiti in classe. Non gli ultimi, però.

«Impara che l’amor non è denaro.

Non mille baci ti faranno ricco

se poi di sentimenti resti avaro.

Basta uno sguardo, basta un solo chicco

per sostener un’esistenza intera,

per darti una ricchezza da sceicco.

Basta seguir la cronaca che è nera.

Più non esiste amor senza possesso.

Quanti mariti pagano in galera

per un delitto ch’è stato commesso?

Io invece amai come insegna il sole

che sulla luna mai le mani ha messo

e mai la insegue sebbene la vuole.

A ogni tramonto, le regala il cielo.

E di non possederla non gli duole.»

Dante si avvicina all’altare, si piega sulle ginocchia e passa la mano destra sulla pietra grigia che ricopre la tomba di Beatrice. Una specie di lentissima carezza.

Più penso alle cose che mi ha appena detto, e meno mi sembra assurda la storia d’amore tra due ragazzi che si sono visti due volte sole. In fondo io non vedo Clarity da cinque anni, eppure le voglio ancora più bene di prima.

Glielo dico e Dante mi dà ragione. È così. Le assenze e le distanze sono muri di burro davanti ai sentimenti.

E poi mi spiega un’altra cosa ganza. Che l’amore non è solo un’idea astratta, da poeti, ma può essere anche uno dei tanti oggetti che sta lì mescolato agli altri, su una mensola, in un armadio, su un prato… Basta saperlo riconoscere.

Per esempio, mi dice, il tuo babbo gioca a golf trascinando due sacche di mazze. Fa un colpo con le sue e uno con quelle che erano di sua moglie. Vince sempre Clarity, ma non perché Cosimo faccia apposta a farla vincere. Il babbo è onesto, in tutte le cose che fa.

Qualsiasi mazza abbia in pugno, cerca sempre di mettere a segno il miglior colpo possibile. Perché allora vince sempre la sacca di Clarity? Perché, evidentemente, anche senza volerlo, in quei colpi Cosimo ci mette qualcosa in più.

Ecco: quel qualcosa in più è l’amore.

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