Luigi Garlando scrive alle scuole intitolate a Giovanni Falcone

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Redazione BookToBook
23 Mag 2019

Giovanni Falcone non ha certo bisogno di presentazioni.

Così come non ne hanno bisogno Luigi Garlando e il suo Per questo mi chiamo Giovanni, un successo lungo quindici anni e arrivato oggi alla sua venticinquesima edizione.

In occasione dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone, Luigi Garlando ha mandato una lettera a tutte le scuole italiane intitolate al magistrato (108 in tutto tra elementari e medie).

Ecco cosa c’è scritto.

«Parlo di Giovanni Falcone almeno un paio di volte al mese» parola di Luigi Garlando

Cari dirigenti, insegnanti e studenti,

parlo di Giovanni Falcone ai ragazzi almeno un paio di volte al mese.

La prima volta è stato nel 2004 a Calimera, piccolo paese della Grecìa Salentina.

Presentammo il romanzo appena uscito nella terra di Antonio Montinaro, uno degli agenti della scorta morti a Capaci.

All’incontro erano presenti la mamma e la sorella di Antonio.

Calimera significa “buongiorno”. Suonava come un buon augurio a un libro che ha vissuto in effetti un’avventura sorprendente che dura ancora. Confesso: mai mi sarei aspettato che questa storia avrebbe appassionato così tanto i giovani lettori e che sarebbe arrivata tanto lontano.

«Gli uomini passano, le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini», ha insegnato Giovanni Falcone.

I ragazzi, che per costituzione hanno gambe forti, hanno portato il mio libro e, di conseguenza, le idee del magistrato palermitano, fino a qui, più fresche e moderne che mai.

Non mi stanco mai di parlare di Per questo mi chiamo Giovanni, anche se gli argomenti inevitabilmente si ripetono, e mi emoziono sempre a guidare i ragazzi verso la solita domanda che, per me, è la polpa della storia, è la parte più intima e profonda del libro.

Racconto loro come il magistrato fosse costretto a vivere blindato, scortato, per ragioni di sicurezza; a nuotare all’alba nel mare di Mandello per limitare i rischi di attentati; a rinunciare addirittura alla gioia della paternità per non lasciare figli 0rfani.

Poi faccio la domanda: «Perché allora, in tutte le foto che abbiamo di Giovanni Falcone e del suo amico Paolo Borsellino, sorridono? Che cosa ci sarà da sorridere in una vita così sacrificata e rischiosa?».

A questo punto, dopo qualche secondo di silenzio, infilo nelle tasche dei ragazzi il sospetto:

«Sorridono perché sono felici. Forse la felicità, quella vera, non c’entra con le cose da fare o da avere; forse la felicità vera arriva da un grande ideale che dà senso profondo a tutta la tua vita e che ti trasmette ogni mattina la gioia di una giornata nuova. Per Falcone e Borsellino quell’ideale era la legalità, la giustizia, la lotta generosa per liberare la Sicilia dalla mafia. Forse, per essere veramente felici, anche noi dovremmo trovare un ideale del genere».

È il motivo per cui invio a voi una copia di questo libro: un invito a conoscere la vita di un grande uomo e insieme la speranza che il suo esempio insegni a tutti noi a lottare per i valori più alti, con coraggio e determinazione.

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