Cara Giulia | Gino Cecchettin ricorda la figlia in una lunga lettera

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Redazione BookToBook
07 Mar 2024

«Quando leggevo storie di femminicidi ne rimanevo colpito, scosso, ma poi egoisticamente giravo pagina. Non avrebbero mai riguardato me perché io nella vita avevo “fatto le cose per bene”. Avevo una famiglia solida, che avevo protetto, non appartenevo a quella certa condizione sociale in cui pensavo si sviluppassero questi drammi. Insomma, io ero immune. Ho sempre sentito di appartenere a un mondo lon­tano da certe situazioni aberranti. Io ero “normale”, e nel mondo “normale” certe cose non accadono. Non è così. Nessuno di noi è immune, perché l’idea della pre­varicazione riguarda tutti indistintamente, riguarda il mondo nel quale viviamo».

Nel mondo nel quale viviamo, l’11 novembre 2023 Giulia Cecchettin è stata uccisa dal suo ex fidanzato. Aveva ventidue anni. La settimana successiva avrebbe dovuto laurearsi in ingegneria biomedica. Le interessava l’aspetto umano di quella facoltà scientifica, la possibilità di offrire, col proprio lavoro, un supporto psicologico da dare a chi, dopo un intervento, sarebbe stato costretto a portare una protesi.

Nel mondo nel quale viviamo l’umanità di Giulia, ennesima vittima di femminicidio – dopo di lei altre ancora, come segnano purtroppo le cronache italiane anche in questo inizio d’anno nuovo – rivive nel ricordo del padre Gino Cecchettin, che trova le parole per ricordare chi era Giulia e cosa ha imparato da lei. Ha scelto di non restare in silenzio e, attraverso le pagine di Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia, scritto con Marco Franzoso, si rivolge alle famiglie, alle scuole, alle istituzioni, a quanti conservano la speranza di un mondo più umano, di un mondo migliore. «Soprattutto vorrei parlare ai ragazzi», scrive Gino in questa lunga lettera alla figlia Giulia, «ma vorrei parlare anche ai genitori».

Cara Giulia fa parte di un progetto ampio a sostegno delle vittime di violenza

Cara Giulia, che Rizzoli porta in libreria il 5 marzo, è parte di un progetto più ampio a sostegno delle vittime di violenza di genere. Per onorare la memoria di Giulia, Gino Cecchettin ha deciso di impegnarsi in prima persona contro la violenza di genere e sta lavorando alla creazione di una Fondazione in nome di Giulia. I proventi netti di Gino Cecchettin derivanti dai diritti d’autore del libro serviranno per sostenere Fondazione Giulia e per aiutare le associazioni del territorio che si occupano di violenza. «Ho scritto questo libro perché vorrei che non suc­cedesse ad altri. E se le mie domande e i miei pensieri dovessero salvare o aiutare anche una sola persona, avrei compiuto qualcosa di importante e utile», spiega Gino. «Ogni vita ha un valore inestimabile. Che almeno ciò che è capitato a noi serva a qualcosa».

«I figli non devono venire schiacciati dal dolore di un genitore o dalla sua tristezza, o dalla sua debolezza. Sentire di avere alle spalle un padre solido e combatti­vo restituisce solidità anche a loro», si legge nelle prime pagine del libro, dove Gino Cecchettin ripercorre la sua storia di padre, i giorni della gioia e della vita vissuta in famiglia, e i giorni del dolore, da quel sabato in cui Giulia esce di casa e dalla domenica quando la tragedia della sua sparizione prende forma fino al ritrovamento del cadavere il 18 novembre, attraverso il racconto delle indagini delle forze dell’ordine, dei funerali a Padova alla presenza di quindicimila persone, della cerimonia di consegna dell’attestato di laurea, dei fiori e dei messaggi di affetto che circondano la casa e il municipio di Vigonovo dove abitava Giulia.

 

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Cara Giulia: una riflessione sulla società odierna

Con questo libro Gino Cecchettin ci esorta ad ascoltare le giovani e i giovani del nostro Paese, ad aiutarli a contrastare ogni forma di violenza di genere, insieme. Secondo i dati del rapporto delle Nazioni Unite i fem­minicidi nel mondo nel 2022 sono stati 89.000. «Sono donne che sono state deliberatamente uccise. Sarebbe un sogno pensare che basterebbe smettere di leggere queste pagine per fermare questa ecatombe, ma non è possibile», scrive Gino Cecchettin. «Tra queste donne, nel 2023, ci sei anche tu, Giulia».

«Nella vita mi ha da sempre accompagnato un approccio razionale alle questioni, e questo approccio mi permette di non far parlare troppo il cuore, l’im­pulsività, l’istinto, la rabbia, che ora risulterebbero distruttivi», scrive Gino Cecchettin, che soltanto un anno fa ha perso sua moglie Monica, la madre di Giulia, di Elena e di Davide. «In questi momenti impossibili sto capendo che se riesco a focalizzarmi in modo razionale elimino completamente dallo scenario le mille riflessioni sui carnefici, sul male, sulla cattiveria, ma riesco a concentrarmi sulle persone a cui voglio bene. È l’unica cosa che mi permette di non soccombere io stesso sotto il peso del male».

Nei giorni successivi alla morte di Giulia, la sorella Elena ha scritto un post sul proprio profilo social che ha provocato molte reazioni: «È stato il vostro bravo ragazzo: non è un mostro, ma un frutto del patriarcato». Soprattutto, ed è quel che più conta, quel post ha spinto Gino a porsi nuove domande, a confrontarsi prima di tutto con Elena e con i giovani della sua età, a chiedersi che cos’è il patriarcato e perché i giovani ne parlano. «Ho iniziato a vedere le cose come non le avevo mai viste prima», scrive Gino. Grazie alle conversazioni con Elena in quei primi giorni drammatici, «mi sono informato, ho cercato, ho studiato, ho navigato online e ho scoperto innanzi­ tutto cose pratiche, concrete. Fatti. Mi è sembrato di imparare l’alfabeto. Innanzitutto a proposito della differenza di genere che ancora oggi esiste nel mondo». Da qui parte il progetto più ampio di cui fanno parte questo libro e la fondazione che sarà intitolata alla memoria di Giulia, a sostegno delle associazioni che operano sul territorio per aiutare le donne vittime di violenza e per sensibilizzare sui temi della relazione tra generi.

In un capitolo di Cara Giulia Gino ci ricorda così che «delle 195 nazioni sovrane ricono­sciute nel pianeta non ce n’è una in cui sussista ugua­glianza salariale tra uomini e donne. E questo significa dipendenza, soprattutto in famiglia». Una ricerca di alcuni anni fa del World Economic Forum segnala poi che «il processo sarebbe stato molto lungo, ma che l’uguaglianza sala­riale si sarebbe ottenuta nel 2133. Nel 2016, però, questa previsione è stata rettificata», prosegue Gino, «segno che il mondo non sta andando avanti ma indietro, in quanto da nuove ricerche si evince che l’uguaglianza salariale sarà un obiettivo raggiungibile, sì, ma cinquant’anni dopo, nel 2186. Fra centocinquant’anni». Centocinquant’anni per ottenere diritti che avremmo dovuto già riconoscere, nel mondo in cui viviamo. Quando si parla di patriarcato non si intende solo un problema attinente alle relazioni tra i generi, al retaggio del possesso dell’uomo sulla donna, «ma anche una differenza di chi detiene il potere», nota Gino; «il patrimonio, per usare la parola corretta».

Il quadro non migliora se guardiamo, per esempio, alla composizione del Parlamento europeo: «Quello che si vorrebbe come il più democratico del mondo», segnala Gino Cecchettin nel libro, «conta al proprio interno una presenza di uomini decisamente superiore rispetto a quella delle donne. 61 per cento contro 39». Un’altra ricerca di qualche anno fa evidenzia come solo circa il 4 per cento degli amministratori delegati delle aziende americane siano donne: 96 per cento contro 4.

«In Italia scontiamo un ulteriore ritardo storico», aggiunge Gino Cecchettin, ricordando l’iter legislativo di riforme a tutela della donna che hanno tardato a essere ratificate: dal reato di adulterio, «che fino al 1968 era riferibile alle sole donne», fino al reato di violenza sessuale, che da reato contro la morale pubblica è diventato reato contro la persona poco meno di trent’anni fa. «Questa era l’Italia nella quale sono cresciuto, e alcu­ni retaggi molto profondi, è sotto gli occhi di tutti, permangono ancora», scrive Cecchettin, che in un altro capitolo del libro ricorda la figura del padre, un operaio figlio del dopoguerra e della ricostruzione, cresciuto con un unico modello educativo, rigido, quello del padre e del marito che doveva mantenere la famiglia, un uomo molto geloso che, nonostante le difficoltà economiche, non voleva che la moglie andasse fuori casa per lavoro. «Si era disposti a pagare un prezzo altissimo purché quella gerarchia familiare venisse mantenuta», riflette Gino Cecchettin pensando all’ambiente familiare in cui è cresciuto lui stesso.

«Sono stato accusato di volermi porre contro gli uomini, eppure la parità non è a scapito di qualcuno, è un fatto di civiltà, e non si tratta di sottrarre niente a nessuno, quanto di parificare la bilancia». Da questo humus, continua Gino, «trovano legittimità comportamenti condivisi, che in casi estremi sfociano nella violenza». Ma non solo: «Nemmeno quando certe violenze accadono si riesce a individuare la causa profonda visto che a quel punto si parla di “mostro”, di raptus, di vuoto mentale, e quant’altro la fantasia riesca a produrre. O anche di esiti dovuti a presunte cause psichiatriche, ad abuso di sostanze o di alcol». Eppure, «ricerche scientifiche nemmeno troppo recenti hanno dimostrato che la violenza di genere, nella quasi totalità dei casi, non è prodotta da persone con problematiche psichiatriche o di dipendenza. La violenza di genere esplode quando certi uomini sentono messa in crisi la loro posizione predominante e minate le loro prerogative. Il loro essere uomo, maschio. Se è un problema culturale, quindi, si tratta di rie­ducare l’uomo non solo nei confronti della violenza manifesta, ma soprattutto nelle mille quasi invisibili e costanti vessazioni, soprusi che attraversano la vita quotidiana di ogni donna. Sul lavoro, in società e in famiglia. Solo perché donna».

Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia racconta molto di una famiglia normale, apparentemente “immune”. Racconta, soprattutto, la storia di una famiglia che ha deciso di non piegarsi alla disperazione ma di reagire per amore di Giulia e delle ragazze come lei, per educare i giovani a un amore sano, «che significa crescere insieme, ma anche accoglienza, dialogo», per abbattere la disparità tra i generi, nelle relazioni. Forse, s’interroga Gino Cecchettin, più che cercare di analizzare gli episodi più efferati, quelli violenti, è importante «cercare di comprendere in quale mondo queste azioni estreme si sviluppano e prendono la loro linfa. Da dove nascono, quale ne è l’origine, su che terreno attecchiscono. È da qui che bisogna partire», è l’appello di Gino, «da una cultura che fa della disparità tra i generi uno dei suoi fondamenti. Forse il più profondo. Ora che possiamo vedere meglio le cose è giunto il momento di costruire un’alleanza tra i sessi, anziché consolidare la prevaricazione dell’uno sull’altro. Dobbiamo puntare a una cultura della riconciliazione più che a quella del riscatto. Parto da me. Mi sento chiamato in causa, in quanto uomo, maschio. E voglio iniziare rispondendo alla domanda: come posso io, proprio in quanto uomo, modificare o, anzi, migliorare le cose?».