Cosa si nasconde Oltre il bosco? Ce lo racconta Melissa Albert

Scritto da:
Redazione BookToBook
11 Feb 2019

Se stai cercando un libro con fate, spiritelli alati e folletti dei boschi, di quelli che terminano con “E vissero tutti felici e contenti”, Oltre il bosco non fa per te.

Se preferisci le fiabe cattive come quelle dei fratelli Grimm, o i racconti horror alla Stephen King, l’esordio letterario di Melissa Albert ti appassionerà.

Segui Alice, la protagonista, Oltre il bosco. In questo modo conoscerai la forza delle fiabe più oscure e scoprirai come la trama di una storia possa cambiare il corso degli eventi.


Una fiaba horror sul potere dell’immaginazione


Oltre il bosco racconta la storia della diciassettenne Alice e di sua madre Ella. Le due donne vivono in fuga. Si spostano su e giù per gli Stati Uniti per evitare la sfortuna che, puntualmente, le raggiunge.
Alla base della loro vita senza radici la figura misteriosa della nonna di Alice, Althea Proserpine. L’autrice di una serie di racconti horror di culto intitolati Storie dall’Oltremondo.
Althea vive segregata a Hazel Wood, isolata dal mondo. Nessuno sa dove si trovi il bosco di noccioli. Solo in un articolo apparso su Vanity Fair si parla di “una casa turrita nel cuore di oscure foreste”.
Alice non ha mai conosciuto sua nonna e sua madre Ella fa di tutto per tenersi alla larga da Althea. Ma quando Ella viene rapita, apparentemente da una creatura del bosco stesso, Alice deve cercarla.
“Stai lontano da Hazel Wood”: questo è l’unico indizio che la madre le lascia prima di scomparire. Ma sarà proprio lì, oltre il bosco, che Alice cercherà di arrivare per ritrovare Ella. Ad accompagnarla c’è Finch, suo amico ma, soprattutto, fan sfrenato delle storie scritte da Althea.

Alice nel paese delle meraviglie nere


Il libro è diviso in due parti: una si svolge a New York, l’altra nell’Oltremondo, dove la storia ha un’accelerazione e Alice scopre qualcosa di inimmaginabile. Perché in Oltre il bosco niente è come sembra e a Alice capiteranno le cose più incredibili. Del resto, in un mondo fatto di storie, tutto può succedere.

Non vogliamo anticiparti nulla, solo consigliarti di leggere questo romanzo dalle atmosfere scure scure. Con una protagonista che, siamo certi, ti piacerà.


Oltre il bosco, un assaggio del primo capitolo


Althea Proserpine cresce la figlia con le fiabe. Una volta, tanto tempo fa, era una ragazza di nome Anna Parks, una delle tante nella legione di sognatori di metà del secolo scorso che giunsero a Manhattan con le proprie speranze ben ripiegate in valigia.

Poi scomparve. Quando riapparve, ottenne una fama singolare, scintillante o oscura a seconda dell’angolazione con cui la si guardava. Ora è sparita nuovamente, fuggita in una casa turrita nel cuore di oscure foreste, dove vive con la figlia di cinque anni e il marito, un vero nobile di sangue blu: non riesce proprio a distaccarsi dalle fiabe.

Quando mi risponde al telefono, ha una voce intrigante, come la sua foto più famosa, quella con l’anello e la sigaretta.

Le chiedo il permesso di andare a trovarla per parlare di persona e la sua risata è un whiskey bollente sul ghiaccio.

«Si perderebbe lungo la strada» mi risponde. «Per trovarmi le servirebbero una scia di briciole di pane o un rocchetto di filo.» La regina dell’Oltremondo, “Vanity Fair”, 1987 

Se mia madre è cresciuta con le fiabe, io sono cresciuta con le autostrade. Il mio primo ricordo è l’odore di asfalto rovente, mentre il cielo è un fiume di azzurro che scorre veloce oltre il tettuccio apribile. Mia madre sostiene che sia impossibile (la nostra auto non ha un tettuccio apribile), ma quando chiudo gli occhi posso ancora vederlo, perciò mi ostino a crederlo.

Abbiamo attraversato il Paese un centinaio di volte, in quel rottame della nostra auto che puzza di patatine fritte, caffè stantio e di fragole plasticose, da quando ho infilato il mio rossetto Tinkerbell tra le lamelle dell’aerazione. Abbiamo vissuto in cos. tanti posti diversi, con cos. tante persone che non ho mai assimilato il concetto che gli estranei siano pericolosi.

Il che spiega perché, quando avevo sei anni, sono salita sulla vecchia Buick azzurra di un tizio dai capelli rossi che non avevo mai visto prima e ho viaggiato con lui per quattordici ore di fila – comprese due soste per il bagno e una per mangiare qualche pancake – prima che i poliziotti ci fermassero, grazie alla dritta di una cameriera che mi aveva riconosciuta dalla descrizione alla radio.

A quel punto avevo intuito anch’io che l’uomo non era chi sosteneva di essere: un amico di mia nonna Althea, che voleva portarmi a trovarla. All’epoca Althea viveva già segregata nella sua grande casa, e non l’avevo mai incontrata.

Non aveva amici, solo fan, e mia madre mi spiegò che quell’uomo era uno di loro.

Uno dei fan che voleva usare me per arrivare a mia nonna.

Una volta verificato che non ero stata molestata e stabilito che l’uomo dai capelli rossi era un girovago che aveva rubato un’auto a poche miglia di distanza dal posto in cui vivevamo nello Utah, mia madre decise che non ne avremmo parlato mai più.

Non voleva ascoltarmi quando le dicevo che l’uomo era gentile, che mi aveva raccontato tante storie e che la sua risata calda, in fondo al mio cuore di seienne, mi aveva illusa che fosse davvero mio padre venuto a riprendermi.

Al commissariato le avevano mostrato lo sconosciuto attraverso uno specchio unidirezionale e lei aveva giurato di non averlo mai visto prima.

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