Hate speech: liberi di dire la nostra, ma liberi quanto?

Scritto da:
Redazione BookToBook
28 Nov 2019

Hate speech e libera espressione: quali distanze?

Negli ultimi anni si sta assistendo ad una crescente spirale dei fenomeni di odio, intolleranza, razzismo, antisemitismo e neofascismo, che pervadono la scena pubblica accompagnandosi sia con atti e manifestazioni di esplicito odio e persecuzione contro singoli e intere comunità, sia con una capillare diffusione attraverso vari mezzi di comunicazione e in particolare sul web. (Liliana Segre)

Il web e i social media sono entrati nella nostra vita ormai da anni, diventando propaggini della nostra presenza sociale.
Stiamo sulle piattaforme online e le viviamo raccontando di noi e del mondo in un modo che a volte esprime chi effettivamente siamo e come pensiamo, altre quello che vorremmo essere e diventare.
Ma ci sono anche volte in cui le nostre conversazioni riflettono il lato peggiore dei nostri rapporti, le frustrazioni che non trovano sfogo nella vita sociale, le tensioni accumulate che hanno origine chissà dove, nel nostro passato, nei modelli sbagliati che abbiamo assimilato, nei luoghi comuni che diventano modi di agire.

In troppi (e troppo spesso) dimenticano che essere sul web e sui social media significa abitarli in primis come esseri umani, perché è questo che noi tutti siamo nella società, prima ancora di essere membri di una famiglia, compagni, amici, professionisti.
E se è vero che i social media sono diventati estensioni di noi, stiamo permettendo che diventino le derivazioni peggiori di noi, spinti anche dalle politiche poco chiare delle grandi piattaforme che non riescono a controllare il fenomeno dell’hate speech.

Ci sentiamo liberi di dire sempre la nostra perché tecnicamente siamo nella possibilità di farlo, ma qual è il limite da porre alle nostre parole prima che diventino gesti che feriscono – a volte anche mortalmente – gli altri?

 


Liliana Segre contro l’hate speech

Nell’ultimo periodo il tema dell’hate speech è stato molto discusso in relazione alla vicenda che ha visto protagonista Liliana Segre, la senatrice che ha presentato in Senato una mozione per l’istituzione di una Commissione straordinaria per il contrasto del razzismo, dell’intolleranza, dell’antisemitismo e per la lotta contro l’istigazione all’odio e alla violenza, anche sul web, visto l’emergere potente del fenomeno del cyberbullismo.
Che un tema del genere, così connesso al nostro presente, all’attualità e anche alla politica, generi dibattito non è uno scandalo.
Il problema è che è stato discusso male, con lo stesso odio che la mozione puntava a contrastare. E se alla ricerca di una soluzione all’odio rispondiamo con l’odio, quanto lontano potremo ancora andare (non solo sui social)?

La vicenda è ormai nota: la mozione di Liliana Segre ha ricevuto 151 voti a favore, nessuno contrario ma, a causa di 98 astenuti, non è stata raggiunta l’unanimità. Ma non sono i numeri di per sé l’aspetto più controverso di questa vicenda: è quello che è avvenuto dopo con le minacce e i tantissimi messaggi di odio ricevuti in rete che hanno portato a tutelare la senatrice con una scorta.

Liliana Segre, una donna sopravvissuta all’orrore nazista, ci ha insegnato con la sua vita che La memoria rende liberi, ma evidentemente in molti lo hanno dimenticato non onorando il significato che Segre e tanti come lei rappresentano:

La chiave per comprendere le ragioni del male è l’indifferenza: quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. 

Copertina di: La memoria rende liberi

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La battaglia di Ilaria Cucchi

Ci sono voluti dieci anni per scoprire la verità sulla morte di Stefano Cucchi, ma alla fine la verità è arrivata.
Con lei sono arrivati anche messaggi d’odio, recriminazioni, teorie del complotto che hanno reso ancora più difficile e doloroso il cammino verso la giustizia e la vita di una famiglia che ha già sofferto troppo.

Li abbiamo sperimentati anche sui canali social di Rizzoli Libri, provando a opporre a questo modo di pensare un messaggio diverso, di sostegno, comprensione e rispetto per chi, come Ilaria Cucchi, si è affidata nella ricerca della giustizia ai sentimenti che hanno dato il titolo al suo ultimo libro: Il coraggio e l’amore.


Hate speech, fake news: qualche libro per riflettere

Diversi giornalisti e scrittori in questi anni hanno riflettuto su come le trasformazioni del web trasformino noi e il nostro modo di vivere, alcuni problematizzando gli aspetti più controversi, altri offrendo soluzioni e prospettive positive. Se sei alla ricerca di qualche consiglio:

  • Matteo Grandi, Far Web: un libro che smaschera odio, bufale e bullismo per spiegarci di cosa parliamo quando parliamo di odio e social media.
  • Giovanni Floris, L’invisibile: ci sono tanti temi complessi in questo romanzo e tra questi anche la rete gioca un ruolo chiave. È una storia che fotografa il nostro tempo, dove la reputazione coincide con quello che siamo, dove vince solo chi santifica le apparenze.
  • Luca Sofri, Notizie che non lo erano: dopo aver smontato per anni false notizie e vere bufale, l’autore le ha raccolte in questo libro che ci invita a riflettere sullo stato della nostra informazione e a costruirci una bussola per distinguere il vero dal falso.

È di una bussola che abbiamo bisogno, soprattutto per le nuove generazioni che sembrano le più colpite dal fenomeno, come dimostra la ricerca EU Kids Online per MIUR e Parole O_Stili.
Il 31% degli intervistati (11-17 anni) ha dichiarato di aver visto online messaggi d’odio o commenti offensivi contro un individuo o un gruppo, attaccati per il colore della loro pelle, nazionalità o religione. Di fronte a questi contenuti i ragazzi hanno provato tristezza, disprezzo, rabbia e vergogna, ma nonostante ciò il 58% del campione afferma di non aver fatto nulla. Libri e serie TV come Tredici raccontano queste storie.

Usiamo la rete per fare qualcosa di buono, per reagire all’ingiustizia o mobilitare all’azione e al cambiamento. 
Per essere più vicini, anziché costruire muri alti quanto le nostre fragilità.

Per approfondire