La notte della Concordia. Ciò che è veramente accaduto a bordo

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Redazione BookToBook
20 Gen 2022

I gigliesi, gente di mare, si accorgono che qualcosa non va. Attorno alle dieci di sera del 13 gennaio 2012, dal molo, dalle finestre di casa, dai vicoli dell’isola «guardano sbalorditi l’imponente città galleggiante scivolare silenziosa di fronte al porto. Si è fermata. Che strano. È così vicina che sembra qua­si di poterla toccare», pensano. Quella nave da crociera di fronte a Punta Gabbianara è davvero troppo vicina agli scogli.
Negli stessi minuti, a bordo, un improvviso sbandamento ha fatto scattare l’allarme. Simone Canessa, secondo ufficiale di coperta e cartografo della Concordia, raggiunge il ponte di comando.

«Quando si ritrova le luci del Giglio davanti agli occhi, lo sbalordimento gli toglie il fiato. Quell’isola non dovrebbe essere lì, pensa. L’ho tracciata io la rotta e quell’isola non può essere davanti alla prua. La spiegazione che la mente cerca di proporgli è troppo inverosimile per essere accettata.»

La tragedia della Costa Concordia

Da lì a poco gli abitanti dell’Isola del Giglio si mobiliteranno per affrontare la più grande tragedia del mare, la nave passeggeri di più grosso tonnel­laggio mai naufragata nella storia marinaresca italiana.
A dieci anni da quella notte, nei giorni in cui si celebra la memoria delle trentadue vittime dell’inabissamento della Costa Concordia, Mario Pellegrini, all’epoca vicesindaco dell’isola – il primo a salire a bordo per soccorrere i passeggeri e, dopo sei ore, l’ultimo a rimettere piede a terra – ricostruisce quella notte insieme alla scrittrice Sabrina Grementieri nelle pagine de La notte della Concordia. Ciò che è veramente accaduto a bordo, nelle parole di chi ha vissuto la tragedia, appena arrivato in libreria con Bur Rizzoli nella collana Futuro Passato.

La notte della Concordia

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È un libro che vuole ricordare i volti, i nomi, la voce e l’azione di quanti quella notte, i cittadini comuni così come i membri dell’equipaggio e i soccorritori di professione, non hanno avuto esitazioni a mettere a repentaglio la propria vita per salvarne altre. Un libro che, scandito dal racconto in presa diretta delle ore trascorse a salvare, tra il panico e il caos, i passeggeri intrappolati nei corridoi e sui ponti della nave, rivive l’esempio offerto dagli abitanti dell’Isola del Giglio che, insieme alle prime squadre d’emergenza, hanno messo in moto una macchina dei soccorsi istintiva, naturale, solidale grazie alla quale si sono limitati i danni di una tragedia già di per sé gigantesca. «Non appena vedono le prime scialuppe di salvataggio avvicinarsi maldestre al molo», scrivono Grementieri e Pellettieri, «si attivano quasi avessero già affrontato eventi simili».


Eppure eventi simili non s’erano mai visti: una nave da crociera lunga 290 metri e alta cinquanta, con 4200 persone a bordo, urta contro uno scoglio delle Scole per una manovra sbagliata, per quell’“inchino” sfrontato che rimarrà impresso per sempre nella memoria degli italiani. Lo scafo si squarcia, inizia l’inabissamento, «il mondo è ribaltato. Quella che prima era una parete sulla quale si aprivano le porte dei corridoi, ora è diventata pavimento.»

Il sostegno degli abitanti dell’isola del Giglio

Senza neppure stare a pensare, i gigliesi «han­no aperto i cuori e le case ai superstiti», hanno riaperto i bar e la farmacia, la scuola e la chiesa.
Rossana e il marito Stefano, che ha un negozio di frutta e verdura, si vestono in fretta, preparano ceste di mele e bibite da distribuire al porto. Il figlio intanto riapre l’edicola dove ospitare i primi naufraghi, che
«indossano abiti leggeri sotto i giubbotti di salvataggio, tremano dal freddo e si guardano attorno smarriti. Rossa­na e il figlio danno loro tutte le felpe presenti in negozio. Quasi nessuno ha soldi per pagare, ma non vengono accettati nemmeno quelli di chi li ha con sé.»

Silvano aveva chiuso il bar da circa un’ora quando sen­te suonare la sirena del traghetto. È a casa, in pigiama, ma quando sente una seconda sirena si riveste, scende al molo e non crede ai propri occhi. Stanno arrivando le prime scialuppe, il sindaco Sergio Ortelli gli chiede di riaprire il bar. La sorella di Silvano, che lavora con lui, non c’è.
«Così chiama la moglie, la cognata e pure un’amica perché lo aiutino dietro al bancone. Pas­sa poco tempo dall’apertura quando inizia a terminare caffè, latte, bicchieri, cucchiaini, acqua. Partono le tele­fonate e i gigliesi accorrono a portare tutto ciò che han­no in casa».

Paolo, insieme alla moglie, è titolare dell’Hotel Baha­mas, l’unico aperto in quella stagione. «Ma nemmeno lui è preparato a quello che, da lì a breve, dovrà affrontare.
Con la pri­ma ondata arrivano almeno duecento persone. Sono perlopiù donne e bambini, e Paolo dà loro le chiavi del­le stanze fino a quando non sono finite.»

Sono le 23 quando Mario Pellegrini sale a bordo della Costa Concordia.

«Canessa lo fissa in silenzio. Quell’uomo è salito sulla nave prima che si rovesciasse. Non è un soccorritore, non ha con sé alcun tipo di attrezzatura, tantomeno il giubbotto di salvatag­gio. Ha rischiato di essere inghiottito dal mare nel mo­mento in cui la Concordia si è adagiata sugli scogli. Ed è ancora lì, in apparenza senza paura, determinato a sal­vare più persone possibili. È un eroe o un incosciente?»

Alle 4,30 con Canessa e Pellegrini «sono rimasti solo alcuni membri dell’equipaggio, ai quali l’ufficiale ha dato l’ordine di attendere che tutti i passeggeri siano sbarcati, prima di scendere a loro volta». Al ponte 3 la fila dei passeggeri si sta accorciando, forse sono saliti tutti sulle scialuppe, ma Canessa vuole essere certo che anche sul ponte 4 non ci sia più nessuno.

«Mario lo guarda ammirato. Ha capito che non se la sente di imporre agli altri di correre il rischio di rientrare nella nave che sta affondando. Se qualcuno vuole dare una mano, deve farlo di sua spontanea volontà. “Vengo io”. Mario si offre senza indugi.»

Alle 5,45 del 14 gennaio Pellegrini e Canessa salgono sulla motovedetta dei vigili del fuoco che li condurrà al porto; sono passate sei ore da quando il vicesindaco è salito a bordo, e passeranno più di due mesi prima di trovare trenta dei tren­tadue dispersi; le ultime due vittime saranno recuperate solo molto tempo dopo.
Il 17 settembre del 2013, venti mesi dopo il naufragio, la Costa Concordia verrà raddrizzata. «Le operazioni dureranno quasi diciannove ore e, una volta che la parte sommersa rivede la luce del sole, l’orrore lascerà tutti senza fiato.»
Tuttavia all’orrore, al dolore, alla rabbia, chi c’era quella notte ha posto rimedio come poteva, con la propria umanità, eroi inconsapevoli. La notte della Concordia ne è la testimonianza diretta, il racconto corale di una coscienza civica e istintiva che, attraverso la memoria e la narrazione, conforta.
«Soltanto la mattina del 14 gennaio si poté cogliere con chiarezza la terribile portata dell’incidente», scrive nella prefazione al libro Nick Sloane, responsabile delle operazioni di recupero della Costa Concordia, il sudafricano conosciuto come “l’uomo dalle imprese impossibili”. Mario e Nick sono diventati grandi amici. «Mario si commuove ancora se ripensa al giorno in cui Nick è ripartito», scrive Sabrina Grementieri.
«Era già salito sulla barca quando si è fatto riportare a terra ed è corso a riabbracciarlo. Le immagini del loro lungo abbraccio hanno fatto il giro del mondo». La Concordia ha lasciato l’isola il 23 luglio del 2014, «sono passati mol­ti anni, ma lui è certo che si riabbraccerebbero di nuo­vo con la stessa sincera amicizia. Sono tanti i gigliesi che portano nel cuore persone conosciute in quei lunghi anni, a partire dalla notte del naufragio». Alcuni passeggeri continuano a scrivere ai loro salvatori.

«Il tempo seleziona i ricordi e Mario, benché abbia una buona memoria, ha dimenticato tanti piccoli even­ti, sia della notte del naufragio sia degli anni successivi. Ciò che non potrà mai dimenticare sono i legami umani nati grazie a questo evento epocale: spontanei, profon­di e trasparenti», come le acque del Giglio.

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