La storia della Fisica dal Novecento a oggi secondo Giorgio Parisi

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Redazione BookToBook
15 Dic 2021

Le idee sono la cosa più importante, il resto è una conseguenza, diceva Richard Feynman, uno dei più grandi fisici del Novecento «e forse il più simpatico», scrive, ricordando le memorabili battute dello scienziato Premio Nobel nel 1965, il premio Nobel per la Fisica 2021 Giorgio Parisi nel suo appassionato saggio appena arrivato in libreria, In un volo di storni. Le meraviglie dei sistemi complessi, in cui gli storni, la fisica, i sistemi complessi e soprattutto le idee, quelle indomabili idee che spesso «sono come un boomerang: partono in una direzione ma poi vanno a finire altrove», sono i protagonisti di un racconto vero e eccezionale, la storia di un Nobel che è poi anche la storia della Fisica dai primi del Novecento a oggi e dell’eccellenza accademica raggiunta dal nostro Paese.

«Il Nobel a Giorgio Parisi», ha detto un altro grande fisico, Carlo Rovelli, «premia uno scienziato straordinario e conferma il livello stellare della scuola di fisica teorica italiana.»

La storia inizia più di cinquant’anni fa, quando nel novembre del 1966 Giorgio Parisi si iscrisse all’università e scelse la facoltà di Fisica perché «l’impressione che mi ero fatto – in maniera del tutto immotivata – era che la fisica fosse più difficile della matematica e quindi trovavo che fare fisica mi avrebbe messo più in discussione, sarebbe stata più una sfida».

In un volo di storni

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«All’epoca gli studenti dei primi due anni non potevano girare liberamente nell’istituto di Fisica. Seguivamo le lezioni di fisica generale e di sperimentazione fisica, ma in questi casi si doveva usare la porta sul retro, perché non era considerato dignitoso che frotte di studenti entrassero e uscissero dalla porta principale, controllata in maniera ferrea da Agostino, il portiere storico di Fisica, che con una memoria formidabile si ricordava di tutti e di tutto.»

È tra i primi capitoli del libro, tra le aule universitarie negli anni Sessanta che Giorgio Parisi – a lungo professore ordinario di Fisica teorica presso l’Università di Roma II Tor Vergata e poi di Teorie quantistiche presso la Sapienza – ripercorre la storia della Fisica a Roma e ricorda i maestri e i colleghi che con i propri studi hanno contribuito alle più importanti scoperte del secolo, uno su tutti il professor Nicola Caribbo, «arrivato alla Sapienza proprio nel 1966. Professore ordinario all’età di 31 anni, era carico di gloria per la sua teoria delle interazioni deboli basata sul cosiddetto “angolo di Cabibbo”, scoperta per la quale avrebbe potuto tranquillamente prendere il Nobel. Era la punta di diamante di tutta la fisica teorica italiana».

La scienza è solo fantascienza divenuta realtà

È quel livello stellare della scuola di fisica teorica italiana di cui ha ben detto Carlo Rovelli, cresciuta nella seconda metà del secolo quando ancora le telefonate internazionali costavano cifre incredibili, 1200 lire al minuto per chiamare i colleghi ricercatori negli Stati Uniti, quando i conti si facevano a mano o con l’aiuto del regolo prima che, nel 1973, Parisi vide per la prima volta una calcolatrice portatile e fu grande lo stupore: «Serviva il mio stipendio mensile per comprarla».

Aneddoti e ricordi s’intrecciano, tra le pagine di In un volo di storni – scritto con la collaborazione di Anna Parisi, fisica e saggista specializzata nella divulgazione scientifica, sarà tradotto in 16 lingue e pubblicato in 20 Paesi – al racconto delle prime idee rivoluzionarie, come la teoria del bootstrap avanzata allora dall’americano Geoffrey Chew, dalla quale poi ne discese, in modo del tutto imprevisto proprio perché le idee sono come un boomerang, la più nota teoria delle stringhe.

«Bootstrap è una parola che oggi viene utilizzata nel gergo degli informatici per indicare il processo di avvio dei computer, ma all’epoca solo pochissimi tecnici superspecializzati la usavano», spiega Giorgio Parisi. «Il termine bootstrap vuol dire “laccio degli stivali” e c’è un famoso proverbio che dice che “non ci si può sollevare da terra tirando il laccio dei propri stivali” (se non avete mai provato a farlo, potrete facilmente verificarne l’impossibilità). Secondo la teoria del bootstrap, ogni particella era in qualche modo composta da tutte le altre particelle; c’era una “democrazia” nelle particelle elementari, nessuna era più fondamentale delle altre. La millenaria ricerca degli elementi costitutivi della materia (una delle prime proposte era stata “acqua, aria, fuoco e terra”) era arrivata al capolinea; non c’erano elementi costitutivi, ma solo relazioni fra le varie particelle. L’idea ebbe un successo enorme».

 

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«Non intendo parlare esclusivamente delle grandi idee, quelle che modificano la storia dell’umanità, la storia del pensiero; voglio invece parlare di quella che è stata chiamata “microcreatività”, ovvero delle piccole idee di tutti i giorni che nell’ambito scientifico sono cruciali per fare progressi. Per me un’idea è un pensiero inaspettato, sorprendente, assolutamente non banale.»

Il risvolto di copertina de In un volo di storni non mente quando presenta il libro come «un viaggio nella mente geniale di un fisico che ha cercato le regole dei sistemi complessi, perché quelli semplici gli sono sembrati sempre un po’ noiosi».

Vicepresidente dell’Accademia dei Lincei e membro della National Academy of Sciences americana, dell’Académie des Sciences francese e della American Philosophical Society, a 73 anni Giorgio Parisi riceve finalmente il Nobel (se lo lasciò scappare da sotto il naso a venticinque anni…), attribuitogli dell’Accademia svedese insieme ad altri due autorevoli studiosi, Klaus Hasselmann del Max Planck Institute for Meteorology di Amburgo e Syukuro Manabe della statunitense Princeton University, «per la scoperta dell’interazione tra disordine e fluttuazione nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria».

Parisi spiega che ha vinto il Nobel per caso, dopo anni di studi e di ricerche che presero il via dall’osservazione del volo degli storni, a cui sono dedicate le prime pagine del libro nonché, e questo non è un caso, il titolo:

«Al tramonto vediamo gli stormi formare immagini fantasmagoriche, migliaia di macchioline nere danzanti che si stagliano su un cielo dai colori cangianti. Li vediamo muoversi tutti insieme senza urtarsi, né disperdersi, superando ostacoli, distanziandosi e poi ricompattandosi, riconfigurando continuamente la loro disposizione spaziale, come se ci fosse un direttore d’orchestra a impartire ordini che tutti eseguono. Possiamo passare un tempo indefinito a guardarli, tanto lo spettacolo si rinnova sempre in forme diverse e impreviste. A volte anche di fronte a questa pura bellezza fa capolino la deformazione professionale di uno scienziato e tante domande gli frullano nella testa. Esiste un direttore d’orchestra o il comportamento collettivo è auto-organizzato? Come fa l’informazione a propagarsi velocemente attraverso tutto lo stormo? Com’è possibile che le configurazioni cambino così rapidamente? Come sono distribuite le velocità e le accelerazioni degli uccelli? Come possono virare insieme senza urtarsi?»

Spiega Parisi che «il volo degli storni mi affascinava in maniera particolare perché si collegava al filo conduttore non solo delle mie ricerche, ma di moltissimi altri studi della fisica moderna: capire il comportamento di un sistema composto da un gran numero di componenti (attori) interagenti. Nella fisica, a seconda dei casi, gli attori possono essere elettroni, atomi, spin, molecole; hanno delle regole di comportamento molto semplici, ma presi tutti insieme danno luogo a un comportamento collettivo molto più complesso».

La teoria dei vetri di spin, «quello che è ritenuto il mio miglior contributo alla fisica» e che gli ha valso il Premio Nobel, arrivò molto più tardi, «è nato mentre studiavo un problema di particelle elementari».

«Il lavoro migliore di una vita di ricerca può saltare fuori per caso: lo si incontra su una strada percorsa per andare da un’altra parte. A me è accaduto così.»

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