La “caposcuola del fumetto italiano” Grazia Nidasio torna in libreria

Scritto da:
Redazione BookToBook
03 Dic 2019

Grazia Nidasio è unanimemente riconosciuta come la “caposcuola del fumetto italiano” avendo dato alla luce personaggi come Scaramacai, Violante, dottor Os, Nicoletta, Valentina Mela Verde, la Stefi e tanti altri.

«Ha alzato l’asticella di qualunque sceneggiatore di fumetti. Perché è facile raccontare di viaggi interdimensionali, minacciati da Kractus, il dio della quinta dimensione [..] Difficile è raccontare la vita di una famiglia normale, in un condominio normale di una città normale e lasciarti il desiderio di sapere come prosegue la storia, la settimana dopo.» Leo Ortolani

Proprio per celebrare questa grande maestra venuta a mancare il 25 dicembre 2018 arriva in libreria Il libro della Stefi, proprio quella Stefi (rigorosamente con l’articolo davanti, perché lei è di Milano) che non ha timore di dire ciò che pensa e di mostrarsi per quel che è.

libro della stefi

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Ferruccio De Bortoli ricorda Grazia Nidasio

il testo che segue è stato scritto da Ferruccio De Bortoli

Ricordo una sera in cui Grazia Nidasio invitò a cena tutta la redazione del «Corriere dei Ragazzi» in un ristorante vicino alla Certosa di Pavia, dove credo lei abbia abitato per tutta la vita. Non eravamo in tanti e io ero decisamente il più giovane della compagnia. Avevo ventun anni. E non ero nemmeno praticante giornalista. Oggi diremmo che facevo uno stage. Andai a quella cena orgoglioso di essere stato ammesso in un circolo di eletti.

Ma lasciamo da parte per un attimo il racconto di quella sera. Il fratello maggiore del «Corriere dei Piccoli» era uno spensierato giornale di fumetti. Farlo era divertente.

Persino troppo. A volte avevamo il sospetto che fosse più appagante scriverlo e disegnarlo che leggerlo. La redazione dove nascevano le storie, le avventure, era, a sua volta, un luogo di storie e di avventure.

E noi che ci lavoravamo eravamo viaggiatori incantati.

O ci ritenevamo tali. All’epoca avevo la sensazione di essere capitato per caso, come Alice nel Paese delle Meraviglie, in un mondo fantastico. O di essere finito dietro le quinte di un teatro. In una palestra creativa nella quale la goliardia dei redattori era come d’obbligo; lo sfottò un indispensabile esercizio professionale.

Eppure non c’era nulla, su quelle anonime scrivanie, che lo facesse pensare.

Solo fogli bianchi o al massimo matite, pennini per la china, qualche colore.

Un ambiente disadorno. Come potesse nascere, in quel disordine, la magia dell’intrattenimento educativo era un mistero. Ma nasceva. Ed era un genere letterario.

Non si perdeva mai di vista il binomio divertimento e scoperta che credo sia sempre stato una sorta di faro esistenziale per Grazia Nidasio. La leggerezza dell’apprendere, lo svago intelligente che conduce all’avventura consapevole. Crea interesse e passione ma non dipendenza o schiavitù. Non si è passivi mai.

Le strisce di Grazia, i fumetti di Sergio Toppi o di Albert Weinberg, i disegni di Mario Uggeri o Aldo Di Gennaro, rendevano il lettore libero di essere regista o sceno grafo della propria avventura. Gli aprivano le porte dell’immaginazione. Parole e disegni coltivavano un senso di infinito che nessuna serie televisiva potrà mai eguagliare.

Valentina Mela Verde e la Stefi erano tra i personaggi più amati dai ragazzi.

Non ancora teenager o che lo erano da poco. I giovanissimi lettori scrivevano lettere.

Molte. Chiedevano notizie, indiscrezioni. Non c’erano social network. Né radio o televisioni private. Le pagine del «Corriere dei Ragazzi» muovevano emozioni e fantasia. Si contavano i giorni e le ore che mancavano all’appuntamento in edicola.

Il gusto dell’attesa era incomparabile, persino superiore al godimento delle storie, degli episodi rigorosamente à suivre. L’Instagram del tempo era un poster messo al centro del giornale ed estraibile con qualche fatica. La lettera di risposta dell’autore di un fumetto o di un suo seguitissimo personaggio, creava un rapporto duraturo.

Veniva vissuto come un privilegio. Non come un diritto.

Direttore ai miei tempi era Giancarlo Francesconi, capo servizio José Pellegrini, art director Federico Maggioni. La firma di maggior spicco era quella di Mino Milani che condivideva con Grazia Nidasio la “pavesità”, quel legame solido con la campagna umida per la nebbia (allora era ancora tanta, specie la sera di quella cena), la quiete delle anse del Po.

Le colline oltre il grande fiume come metafora della fuga dalla modernità, il rifugio salvifico.

Da quelle terre, scoperto e sostenuto soprattutto da Grazia, emerse nella sua timidezza il talento insuperabile di Tiziano Sclavi, il creatore di Dylan Dog. Il ragazzo con le Clarks dalle stringhe rosse prenderà poi il posto di chi scrive, la stessa scrivania. Accanto c’era quella di Alfredo Castelli, l’inventore di Martin Mystère. Un autore magnetico, un creatore bulimico. Disegnava telefonando; scriveva parlando. Io ammirato gli facevo un po’ da segretario. “Ha telefonato questo, ha chiamato quello…”.

Grazia Nidasio era stata al «Corriere dei Piccoli». Aveva lenito, con la sua creatività, i segni dolorosi del suo inesorabile declino. I personaggi crescevano, da Scaramacai, a Valentina alla Stefi, abbracciando la contemporaneità che poi si sarebbe presa gran parte dei lettori dei giornali per ragazzi indirizzandoli verso altre passioni.

Grazia, però, riassumeva in sé la tradizione narrativa della migliore editoria per ragazzi che sa rinnovarsi nella qualità. Che non muore mai. Anzi si rigenera in autori come J. K. Rowling e Roald Dahl. Ma nello stesso tempo esprimeva una non comune virtù per l’insegnamento. E non smetteva mai di fare la mamma. Come se i suoi figli fossero anche i lettori. Ai quali si dovevano proporre storie appassionanti ma costruite tutte intorno a una istituzione – quella della famiglia, la famiglia Morandini – che affrontava la vita con il dono dell’ironia. Con un lieto fine che oggi ci appare banale e scontato. Ma allora era gradito. Graditissimo. Come una carezza o un cuscino sul quale addormentarsi e sognare.

Ma torniamo a quella sera alla Certosa di Pavia. Grazia fu come sempre gentile, premurosa e materna. Soprattutto con l’ultimo arrivato che si sentiva emozionato ma un po’ sperduto. Del resto, una delle qualità di una scrittrice, ancora di più se ha il dono del disegno, è quella di saper prendere per mano il lettore – anche il ragazzo più timido e complessato – e metterlo al centro della storia. Farlo sentire protagonista.

Come si sentirono protagoniste, già consapevoli dei propri diritti, le ragazze dell’epoca che leggevano un giornale dedicato nel titolo all’altro genere. Oggi non sarebbe possibile. E stravedevano per Valentina e per la Stefi che la loro parità di genere l’avevano già ottenuta. Quella sera, che rimane tra i miei ricordi più belli, anch’io mi sentii, “grazie alla grazia di Grazia”, parte di una storia, quella di un giornale.

Una comunità di valori e identità. Così fragile da poter appassire – come avvenne – rapidamente. Ma i personaggi sono rimasti. Hanno resistito al tempo. Sono diventati immortali come i supereroi. E pensare che erano del tutto uguali ai loro lettori.

Nell’uscire nella nebbia, quella sera, ebbi la dimostrazione che un fantasy non ha bisogno di scenari medievali modello Trono di Spade, draghi sofisticati e poteri magici.

Nella vita di tutti i giorni c’è molto più fantasy di quanto si possa immaginare. E Grazia Nidasio lo ha dimostrato con le sue storie, con i suoi personaggi, perfino con il piccolo mugnaio del Mulino Bianco, una pubblicità. La quotidianità non è mai banale.

È fantastica. Basta viverla con sorrisi, leggerezza e voglia di imparare. Sempre.

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