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Achille Lauro se ne frega della mascolinità tossica, e fa bene

Achille Lauro è indiscutibilmente uno dei protagonisti della nuova scena musicale italiana.

Artista che trova la propria unicità nella continua innovazione, la figura di Achille Lauro è sempre accompagnata da uno stuolo di critiche che crescono in maniera esponenziale se inserite nel calderone Sanremo.

Durante la prima serata del Festival il cantante è sceso dalle scale dell’Ariston scalzo e avvolto in una cappa nera ricamata in trame dorate. A pochi secondi dall’inizio dell’esibizione dell’inedito Me ne frego si è spogliato della cappa restando vestito da un body effetto nude ricoperto di strass.

Subito dopo l’esibizione nel suo canale instagram (dove già erano stati lasciati indizi nelle passate settimane) Achille Lauro ha spiegato che la mise è tutto fuorché casuale e che, soprattutto, non si tratta di una trovata “per far scena”.

Si tratta infatti di una performance a 360 gradi ispirata all’arte italiana, in particolare alla quinta delle 28 scene del ciclo di affreschi delle Storie di San Francesco della Basilica Superiore di Assisi in cui il Santo rinuncia ai propri abiti terreni come metafora del rifiuto della propria ricchezza materiale per votare la sua vita a qualcosa di superiore.

La performance ha scatenato i più beceri esempi di mascolinità tossica sui social – otre ad alcuni meme molto divertenti, perché non va raccontato solo il negativo delle storie – un po’ come succedeva anni indietro quando apparivano in tv Boy George, Renato Zero o David Bowie.

Ma Achille Lauro se ne frega e anzi gioca con gli stereotipi. E chi ha letto il suo libro sa bene qual è il suo pensiero sull’argomento.

Achille Lauro: Su la maschera!

Il testo che segue è tratto dal libro di Achille Lauro “Sono io Amleto”

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«Cinquantenni disgustosi, maschi omofobi. Ho avuto a che fare per anni con ‘sta gente volgare per via dei miei giri. Sono cresciuto con ‘sto schifo. Anche gli ambienti trap mi suscitano un certo disagio: l’aria densa di finto testosterone, il linguaggio tribale costruito, anaffettivo nei confronti del femminile e in generale l’immagine di donna oggetto con cui sono cresciuto.

Sono allergico ai modi maschili, ignoranti con cui sono cresciuto.

Allora indossare capi di abbigliamento femminili, oltre che il trucco, la confusione di generi è il mio modo di dissentire e ribadire il mio anarchismo, di rifiutare convenzioni da cui poi si genera discriminazione e violenza.

Rifiuta le regole, istituzioni, brucia i tuoi documenti, divertiti.

 Sono fatto così mi metto quel che voglio e mi piace: la pelliccia, la pochette, gli occhiali glitterati sono da femmina? Allora sono una femmina. Tutto qui?

Io voglio essere mortalmente contagiato dalla femminilità, che per me significa delicatezza, eleganza, candore. Ogni tanto qualcuno mi dice: ma che ti è successo? Io rispondo che sono diventato una signorina. Mi sento più vicino a un ideale femminile di purezza. Preferisco stare con le ragazze perché in genere hanno storie da raccontare e lo fanno con sentimento, mi piace l’emotività, l’intensa capacità di analisi, la delicatezza.

Non è la femmina in sé quello che cerco ma l’innocenza che per me è bellezza assoluta. Voglio far parte del mondo del bene. Un po’ come quando lo Zingaro nel film Lo chiamavano Jeeg Robot interpreta Anna Oxa cantando Un’Emozione da poco. O Ed Vood che di punto in bianco si presenta dalla fidanzata vestito da donna.

E se guardi bene gli estremi dei miei occhi (oltre a indovinare l’estremità del mio sguardo) scopri che sono la regina delle femmine: Cleopatra.

La nostra filosofia si può ridurre a un unico principio fondante: Estrema Libertà di Pensiero.»