Licia Troisi porta in libreria “Le guerre del multiverso”

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Redazione BookToBook
07 Mar 2022

Dopo anni di attesa, Licia Troisi, una delle più amate autrici italiane di fantasy, torna in libreria con Poe. La Nocchiera del tempo, in uscita l’8 marzo per Rizzoli.

Licia Troisi ha scritto fin da bambina e non ha mai smesso, neppure mentre studiava per prendere la laurea in Astrofisica. Esordisce nel 2004 con la trilogia Le Cronache del Mondo Emerso, seguita successivamente da Le Guerre del Mondo Emerso e Le Leggende del Mondo Emerso, un universo narrativo enorme che si impone da subito nel filone fantasy italiano, rendendola nota anche a livello internazionale. Troisi continua poi a dedicarsi alla narrativa creando altri mondi e dando vita ad altre protagoniste memorabili con La ragazza drago e I Regni di Nashira. Ma oltre alla narrativa, l’autrice – essendo una rinomata astrofisica – si dedica anche a libri di non-fiction, come per esempio La sfrontata bellezza del cosmo, uscito nel 2020, vincitore del Premio Cosmos e finalista del Premio Asimov, in cui Troisi accompagna lettori e lettrici in un viaggio tra le immagini che hanno fatto la storia dell’astronomia.

Dopo anni di attesa una nuova eroina è pronta a far breccia nel cuore di lettori e lettrici, proprio come a suo tempo fecero Nihal e Dubhe. Il suo nome è Poe. Sì, proprio come lo scrittore.

Lo scrittore si chiama come me, e i suoi racconti fanno paura. A Imogen non li leggo mai, anche se lei me lo chiede sempre. Un paio di volte, ho fatto finta e ho inventato altre storie, anche se non belle come quelle di mamma. A me i racconti di questo Poe – c’è scritto proprio così, sulla copertina – piacciono; dentro non c’è niente che sia più spaventoso del mondo che abito da tre anni a questa parte.

Di cosa parla Poe. La Nocchiera del Tempo

Poe è una ragazza di venticinque anni e tutto il suo mondo, come lo conosceva da ragazzina, non esiste più. O meglio, esiste ancora, ma lei non ne fa più parte. Vi torna qualche volta soltanto grazie ai ricordi, perlopiù dolorosi e pieni di sensi di colpa, che nel romanzo appaiono sotto forma di flashback.

Poe La nocchiera del tempo

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Allontanata come reietta da Paradise che, a dispetto del nome, tutto era tranne che un vero e proprio paradiso, Poe, già orfana a quell’età, ha dovuto rinunciare a tutto e a tutti: gli amici, gli affetti, la famiglia che si era scelta e con cui abitava: un gruppo di ragazzini che – proprio come lei – provava a sopravvivere in una città devastata dalla potenza dei più ricchi.

«Io abitavo in cima ai grattacieli di una città chiamata Paradise, in mezzo ai fumi delle fabbriche. Vivevo di furti e altri espedienti. Appartenevo alla parte più sfigata della popolazione. C’era altra gente che stava meglio, e una casta che governava tutto. Non ti voglio annoiare con cose che avrai visto in centinaia di altri posti del multiverso: ci sono i fortunati che hanno tutto, e quelli invece che non hanno niente. È sempre così.»

Tutto ciò che Poe ha fatto in passato, rubare, ma anche rischiare letteralmente la vita, è stato mosso dall’esigenza di proteggere Imogen, la sorella più piccola, a cui Poe ha fatto anche da genitore.

«Io sono tutto ciò che Imogen ha al mondo, e lei è tutto per me; per questo tireremo avanti, e io terrò in vita tutte e due», si dice Poe per giustificare le sue azioni illecite.

Dopo essere stata scoperta a frugare a casa di un Giudice, una delle personalità più influenti e benestanti di Paradise, la sentenza non tarda ad arrivare: la quindicenne Poe è condannata a morte, dovrà Tuffarsi in un Pozzo, un passaggio interdimensionale che collega i mondi del multiverso, e che molto probabilmente la condurrà a morte certa.

Tuttavia, pochi attimi prima di Tuffarsi, Poe non sa ancora che tra le sue vene scorre sangue di Nocchiera, uno di quei rari individui del multiverso in grado di sopravvivere ai Pozzi. È la sua discendenza, e di conseguenza la sua genetica, a decretare non solo la sopravvivenza della protagonista ma anche il suo incontro con il temibile Dhanab, un essere asessuato a capo dei Cercatori, che – colpito dalla forza caratteriale della ragazzina – la recluta all’interno dell’organizzazione.

Poe ha perso tutto e non le resta che accettare, ma a una condizione: tenere in vita Imogen e darle la possibilità di vivere una vita ricca e dignitosa. Per Dhanab, però, tutto ha un prezzo e così Poe acconsente, suo malgrado, che la memoria di sua sorella venga cancellata. Imogen, dunque, non ricorderà più nulla degli anni passati a Paradise, scanditi sì dalla povertà ma anche dalla benevolenza di una sorella che, per amore, rovistava nei cassonetti e riusciva a rendere, a suon di sorrisi e parole, mezzo burrito un’ottima e saporita colazione.

A venticinque anni Poe si può ritenere soddisfatta. Tutto ciò che ha vissuto l’ha resa forte, menefreghista, fredda e schietta e questo fa di lei un’abile Cercatrice. Sfruttando il suo sangue di Nocchiera e la sua capacità di sopravvivere ai viaggi interdimensionali, Poe gironzola per il multiverso portando a termine, in breve tempo, qualsiasi missione le venga assegnata da Dhanab. Per Tuffarsi ogni Cercatore utilizza una maschera, un dispositivo di sicurezza dato che i Tuffi tra un pianeta e l’altro possono portare a brusche conseguenze sia a livello fisico che mentale. Il primo Tuffo di Poe, per esempio, quello che avrebbe dovuto decretarne la morte, le ha fatto spuntare dei capelli bianchi, a cui lei ormai non fa più caso.

«È vero che i Nocchieri riescono a sopravvivere nei Pozzi, ma non ne escono mai del tutto illesi. C’è chi risente del viaggio, chi ha solo effetti lievi, ma tutti paghiamo un prezzo. I Cercatori ci mettevano a disposizione vari dispositivi di protezione personale. A me era sufficiente una maschera liscia e bianca, con due fessure sottili per gli occhi e un fregio rosso che avevo disegnato io, solo perché mi piaceva. A volte la usavo addirittura in battaglia. Comunque, non era soltanto un mezzo di protezione, dentro ci avevo caricato la mappa dei Pozzi, o almeno di quelli che conoscevo. Nessuno ha mai esplorato tutto il multiverso. L’idea più diffusa è che sia infinito, e che quindi mapparlo sia impossibile. In ogni caso, i percorsi sono piuttosto tortuosi: poiché ogni Pozzo ha un solo verso di percorrenza, a volte è necessario fare giri assurdi per arrivare a destinazione.»

Il mestiere del Cercatore consiste nel viaggiare per rubare oggetti rari, richiesti a Dhanab da chiunque possa permettersi i prezzi dei Cercatori: collezionisti, scienziati, gruppi religiosi. La protagonista agisce con razionalità e scaltrezza, senza permettere a se stessa un minimo di dubbio o esitazione. D’altronde la sua filosofia è: “Meno sai, meglio è”.

«In genere mi limitavo alle informazioni indispensabili. Il resto mi entrava e mi usciva in scioltezza dal cervello.»

Dhanab è consapevole di avere in squadra una delle migliori Cercatrici in circolazione ed è per questo che, a un certo punto, affida a Poe una missione particolare, a suo dire difficile, da svolgere sul pianeta di Mechanica: rubare il Pacificatore, un’arma che garantisce l’equilibrio sul pianeta. Equilibrio che – per forza di cose – verrà distrutto, ma a Dhanab non interessa.

A Poe non resta che accettare la missione, anche se l’unica cosa che le fa storcere il naso è che non sarà da sola. Ad affiancarla ci sarà un agente del posto di nome Damyan, Cercatore come lei ma dalle orecchie a punta, i capelli ricci e verdi e gli occhi arancioni. A Poe la cosa non piace per niente: lei è abituata a cavarsela da sola, nel bene e nel male, la responsabilità di un compagno può essere un impedimento e trasformarsi in un peso troppo grande da portare. Eppure, Dhanab è irremovibilə.

«Lessi lo scarno fascicolo mentre preparavo la roba, nella mia stanza. Erano due pagine piuttosto generiche. Mechanica era abitato da due razze, gli Ereboi e gli Elysi, i secondi avevano sottomesso i primi grazie al Pacificatore. Quest’ultimo si trovava a Pardula, una delle città più grandi di Mechanica. Quanto al pianeta in sé, era ancora piuttosto arretrato. Si basavano su tecnologie meccaniche piuttosto rudimentali, ma rafforzate dall’uso di una sostanza particolare, il Mecha.»

Arrivata a Mechanica, dopo aver schivato un attacco improvviso ed essere stata aiutata proprio da Damyan, i due ragazzi – diversi come il giorno e la notte – cominciano a conoscersi ma soprattutto ad architettare un piano elaborato per riuscire a sottrarre il Pacificatore agli Elysi.

Nonostante alcuni incidenti di percorso, Poe e Damyan riescono a rubare il Pacificatore. A Poe basterebbe tornare alla Base, consegnare l’arma a Dhanab e attendere che le venga affidata la missione successiva, eppure – dopo i dialoghi avuti con il compagno di squadra e il popolo degli Ereboi – la protagonista comprende che la storia del Pacificatore la riguarda da vicino più di quanto credesse e di quanto le avesse fatto intendere Dhanab.

«Mi rendevo conto solo adesso che avevo accettato di fare la Cer­catrice perché ero sicura di non avere altra scelta. Avevo fatto quel che andava fatto, punto. Era l’alibi, che mi permetteva di dormire nel mio letto, alla Base, quando la missione era finita. L’alibi che cancellava tutto il resto: il senso di colpa, la netta sensazione di star sbagliando tutto. Dio, quante menzogne che mi ero raccontata in tutti quegli anni…»

Un plot-twist inaspettato che costringerà Poe ad andare più a fondo, a indagare sulla scomparsa della madre e a immaginare – e sperare allo stesso tempo – di potersi ricongiungere a Imogen. Perché una cosa è certa: Poe deve tornare a Paradise. E non sarà da sola.

Il multiverso, un insieme di mondi straordinari

Su una cosa possiamo essere tuttə d’accordo: Licia Troisi è un’eccellente e abile maestra nel creare una geografia di mondi complessi, stratificati, eppure – sotto tanti aspetti – molto simili al nostro. Anche se abitati da elfi, draghi, maghi, gli universi narrativi creati dalla scrittrice sono vividi e immaginabili, con uno spettro di personaggi caratterialmente molto umani, con i loro pregi e difetti, la loro sete di giustizia e di riappropriazione del proprio posto nel mondo.

Il multiverso, ambientazione di questo nuovo romanzo fantasy/cyberpunk, è eterogeneamente articolato, composto da pianeti diversi, collegati fra loro tramite i Pozzi. La Base, il posto in cui ha sede l’organizzazione dei Cercatori capeggiata da Dhanab, è una sorta di non-luogo:

La Base, tecnicamente, non è in nessun luogo e in nessun tempo. Si trova fuori dal multiverso, ma io penso che sia più corretto dire che ci sta dentro fin troppo. È difficile da spiegare, e io sono una frana con questa roba. Ma, in sostanza, se immaginiamo il multiverso come un tessuto, i Pozzi che collegano punti diversi del multiverso sono i fili della trama, e la Base si trova tra un filo e l’altro. In mezzo alla trama. Nello spazio vuoto.
La prima volta che Dhanab me lo spiegò, mi venne un terribile mal di testa. All’epoca, io conoscevo solo Paradise, ed ero convinta che i Pozzi fossero la morte. Non sapevo che fossero portali tra un mondo e l’altro, né che ognuno andasse in una sola direzione. In quell’occasione scoprii anche che con un semplice Deviatore puoi raggiungere la Base da qualsiasi Pozzo.

I Cercatori, dotati la maggior parte delle volte di maschera, si Tuffano da un Pozzo all’altro per raggiungere pianeti diversi. Ogni pianeta è contraddistinto da caratteristiche molto diverse fra loro: la città di Pardula, per esempio, sul pianeta Mechanica, brilla come se fosse fatta di vetro; Almerya è un pianeta gelido (potrebbe ricordare per certi versi il nostro Polo Nord) in cui abita Anthelya, la maestra che ha addestrato Poe subito dopo essere entrata nei Cercatori; Sharan è il paese desertico in cui incapperrano Poe e Damyan, prima di giungere sulla Terra:

«Il pianeta desertico sul quale fummo risputati era davvero l’angolo più dimenticato del multiverso; non c’erano altro che sabbia e nuvole a perdita d’occhio. Il cielo, di un giallo sporco, era spazzato da un vento pungente, che picchiettava le nostre maschere con una pioggia incessante di minuti granelli di sabbia. Non c’era alcuna traccia di vita, e, a parte quel vento dannato, neppure un suono.»

Paradise, invece, si trova sulla Terra, ma non quella che conosciamo noi. Anni prima della nascita di Poe e Imogen, accade una Tragedia per la quale i Giudici decidono di sovvertire l’ordine delle cose.

Ho provato a fare qualche ricerca su questo evento storico, ma pare che quasi tutti i documenti siano andati perduti. Tutto ciò che si sa, sia nella Jungla sia a Paradise, è stato tramandato oralmente. La Tragedia, dovuta a un tentativo fallito di usare una nuova tecnologia pulita per produrre energia, devastò la Terra. Il pianeta divenne pressoché inabitabile, tranne che per una zona circoscritta, in cui in seguito venne edificata Paradise. C’era anche una caverna sotterranea, dove si rifugiarono alcuni scienziati. Non era grande a sufficienza per ospitare tutti i sopravvissuti, e per questo quegli uomini presero una decisione drastica: là sotto avrebbe vissuto l’élite, mentre ai piani superiori gli individui che non erano in grado di contribuire al progresso dell’umanità, ossia, a loro giudizio, quelli buoni solo per lavori manuali o di basso livello. La loro nobile idea era che sotto prima o poi avrebbero trovato una soluzione per rendere di nuovo abitabile tutto il pianeta. La realtà è che ben presto l’umanità si divise in due: i fortunati di sotto, a far vita beata, con tanto tempo per dedicarsi persino all’arte; i miserabili di sopra che conducevano una vita ai limiti della sussistenza. O, almeno, questa era la conclusione cui ero giunta, quando Dhanab mi aveva raccontato questa storia. Del resto, dopo secoli, non solo non c’è traccia di una qualsiasi soluzione per recuperare il pianeta, la situazione è diventata così strutturale che a Paradise si sono create varie classi sociali, l’ordine che io stessa avevo conosciuto e di cui avevo fatto parte. Paradise e la Jungla sono due mondi separati da tempo, ormai, tranne che per il cordone ombelicale di energia e lavoro che li collega.

La Jungla, città del tutto sotterranea in cui l’unica luce che splende è artificiale, è il luogo in cui viene trasferita Imogen, dopo il patto stipulato tra Poe e Dhanab.

Un universo femminile (e femminista)

Sia chi è cresciuto leggendo i romanzi di Licia Troisi, sia chi dovesse approcciarsi per la prima volta ai mondi ideati dall’autrice, troverà in Poe. La Nocchiera del Tempo uno spettro di personaggi femminili straordinari, che non si esaurisce soltanto con la scelta di una protagonista.

Se è vero che, da una parte, Poe catalizza tutta l’attenzione su di sé per via del suo coraggio, della sua forza, della sua abilità e del suo carattere fermo e deciso che la rende a tutti gli effetti un personaggio maturo, è altrettanto vero che i modelli a cui si ispira e per cui lotta (compresa la sorella Imogen) sono fondamentalmente donne potenti, che credono nelle loro azioni e in un’idea di libertà che non è poi così diversa da quella che ha in mente la protagonista.

«Ero libera, e mi sarei tenuta stretta quella libertà a tutti i costi, l’avrei protetta con le unghie e con i denti.»

Il padre di Poe e successivamente quello di Imogen (le due hanno la stessa madre, ma non lo stesso padre, n.d.r) hanno abbandonato – in momenti diversi – la madre delle bambine, lasciandola in balia di due figlie piccole da crescere, accudire e mantenere. Poe ricorda con tristezza e rimpianto l’infanzia passata con la madre, donna magrissima, dai capelli neri e lucenti, e dagli occhi profondi e viola.

«Non eravamo ricche, ovviamente. Tre femmine sole a Paradise, peraltro in cima ai grattacieli, non hanno grandi opportunità di guadagno. Né mio padre né quello di Imogen si sono mai fatti vedere. Ci sono stati degli uomini che ci hanno dato una casa e ci hanno tenuto con loro per un po’, ma i loro volti si confondono nella mia mente, perché sono sempre durati pochissimo. Siamo sempre state sole; prima io e mamma, e poi noi tre, contro tutti.
Mamma si arrangiava. Lavori trovati in giro, che duravano sempre poco, come gli uomini. Ma che ci permettevano di avere una casa.»

Costretta a crescere troppo presto, Poe diventa – oltre che essere effettivamente sorella maggiore – anche tutrice e madre putativa di Imogen, troppo piccola quando scomparve la madre. Nonostante non se ne faccia una ragione, Poe sa che alla madre deve tutto e le riconosce uno sconfinato senso di sacrificio nei confronti della famiglia.

Altra figura – imponente e rilevante – all’interno della narrazione è di certo Anthelya da cui Poe viene mandata da Dhanab per essere addestrata. La figura di Anthelya è tanto fredda e misteriosa quanto calorosa e accogliente. È una donna di una ventina d’anni più grande di Poe che la comprende e che, a suo modo, la mette in guardia e la protegge dalla cattiveria di Dhanab che – ricordiamolo – non è un uomo, bensì un essere asessuato: un espediente narrativo intelligente che evidenzia come le donne siano sempre costrette a mettersi in gioco e a rivendicare la propria posizione nel mondo al di là di una generica classificazione maschio/femmina.

«[Anthelya] Per me è l’immagine della perfezione, tutto ciò che vorrei essere. Il gelo dei suoi modi mi parla di una distanza suprema dalle cose del mondo, di un’atarassia che vorrei essere in grado di raggiungere anch’io, un giorno. Perché sono ancora impastoiata nel mio passato, nei legami che ho avuto, e cui, in questa nuova vita, non ho più diritto, in tutto ciò che mi zavorra e mi fa male. Anthelya no. Lei ha solo me, e potrebbe comunque farne benissimo a meno. Lei basta a se stessa.»

Ultima, ma non meno importante, è Kitty, poco più grande di Poe, anche lei facente parte degli Uccelli, il gruppo di ragazzini con cui Imogen e Poe hanno vissuto prima che quest’ultima venisse scaraventata nel Pozzo.

«Aveva una specie di talento naturale per la medicina. Mi ero sempre chiesta quanto avrebbe potuto rendersi utile a Paradise se le avessero dato la possibilità di studiare. Tutto quel che sapeva sui corpi umani e come medicarli lo aveva imparato da sola, con la pratica e sui libri che recuperava in giro per la città, alcuni vecchissimi.»

Kitty è una figura segnante nella vita di Poe, soprattutto per ciò che concerne l’educazione sentimentale della protagonista (sì, nel romanzo si parla anche di questo). Poe non può fare a meno di mettere Imogen sopra tutti e tutte, e Kitty lo accetta, le lascia spazio e tempo, ma soprattutto non le impone come deve essere.

«Non ho avuto tempo per essere adolescente; sono cresciuta di botto quando mia madre è morta e, quando il mio corpo è diventato quello di una ragazza, l’ho semplicemente affidato a Kitty.»

Un tuffo nel cyberpunk di tuttə

Il 25 gennaio 2022, Licia Troisi pubblica sul suo profilo Facebook questo post, annunciando l’uscita del suo prossimo romanzo e lasciando trasparire l’emozione e quel desiderio di contatto e voglia di incontrare lettori e lettrici per cui tanto si è distinta in passato:

«A marzo esce il mio nuovo libro di narrativa, e la macchina si è rimessa in moto. […] In questi due anni sono successe un sacco di cose, a me, al mondo, a tutti noi. Siamo cambiati, io sono cambiata, e questo libro in qualche modo lo attesta. Ci tengo molto, è incredibilmente nato da un momento di crisi profonda, in cui non credevo potesse esserci spazio per una storia nuova. E invece. Poe è nata nel lockdown, ma è stato nella pausa dell’estate del 2020 che ha preso il volo, e non uso questo termine a caso.
Il libro è diverso da qualsiasi cosa abbia fatto prima, per me è un’incursione in territori inesplorati, e per questo non vedo l’ora che sia tra le vostre mani, per sapere che ne pensate. Succederà tra un paio di mesi, anche meno.
Quel che non è cambiata è l’emozione con cui mi avvicino ogni volta a questa fase: la trepidazione dei primi disegni, la copertina, gli incontri con chi il libro fisicamente lo venderà. La giostra è ripatita e io non vedo l’ora di salirci sopra».

Di certo è vero, Poe. La Nocchiera del Tempo è un libro diverso dai precedenti romanzi di Troisi, soprattutto per via della creazione di un mondo nuovo, a metà fra il fantasy e il tecnologico, un universo cyberpunk in cui per viaggiare bisogna Tuffarsi e indossare maschere su cui è possibile caricare mappe e informazioni.

Un multiverso che, però, è accessibile a tuttə: per raggiungerlo basta aprire il libro, iniziare a leggere e lasciarsi trasportare dall’incredibile forza di Poe, un’eroina che non ha niente da invidiare alle altre protagoniste inventate dalla penna di Licia Troisi.

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