Frankenstein è uno dei più agghiaccianti romanzi neri o gotici mai scritti

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Redazione BookToBook
30 Ott 2019

Ad Halloween, probabilmente, vale la pena leggere un solo libro: Frankenstein, da poco tornato in libreria con la nuova traduzione di Silvia Castoldi.

«Com’è possibile un essere umano partorito dalla scienza, prima della biogenetica, prima della clonazione? Com’è possibile un mostro per troppa bontà? E com’è possibile che tutto questo sia scaturito da un gioco?»

si chiede Mauro Covacich mentre rilegge Frankenstein, probabilmente uno dei più agghiaccianti romanzi neri o gotici della storia.

A conti fatti, a rileggerlo oggi si può dire che il Frankenstein di Mrs. Mary Shelley ha il merito di aver iniziato il tipo di favola fantascientifica che nel nostro secolo, a cominciare dal gran successo dell’Isola del dottor Moreau (Wells, 1986), si è talmente diffuso che è diventato genere letterario a parte.

Frankenstein è il classico perfetto per Halloween

dall’introduzione di Mario Praz


In Frankenstein la nemesi appare inevitabile perché l’uomo ha commesso il peccato imperdonabile di proporsi di superare i confini assegnatigli dalla divinità. La concezione che qui predomina è ancora quella dell’overreacher, del trasgressore faustiano:

«Il patto con il demonio e la vendetta del cielo non sono metafore astratte ma hanno una loro concretezza palpabile. Ma nel mondo “laico” della scienza contemporanea non vi è più spazio per la vendetta divina bensì soltanto per la punizione ecologica, proprio come non vi è più spazio per il patto col diavolo bensì soltanto con il potere economico e politico».

Il modo per animare la materia inanimata dev’esser tenuto segreto, ma si accontenta il lettore di questa secca dichiarazione?

La creazione artificiale d’un essere umano era stata il sogno di secoli, ma il problema era particolarmente vivo nel Settecento, e Goethe lo espresse nell’Homunculus nella seconda parte del Faust, che, tuttavia, fu cominciata solo nel 1826, mentre Frankenstein fu pubblicato nel 1818.

Ci furono diversi tentativi in Francia ma sembrano piuttosto appartenere alla preistoria della cibernetica che alle fonti del romanzo gotico di Mrs. Shelley. Per non essere avventati, gioverà adottare il punto di vista di Burton R. Pollin, secondo cui «in mancanza di ulteriori prove bisogna presumere che il suo racconto dapprima prese la forma del suo brutto sogno descritto nella prefazione, poco prima che Shelley e Byron partissero pel loro giro del lago di Ginevra, dal 22 giugno al 1° luglio».

Crediamo, ciò nonostante, che l’affinità tra il tema di Frankenstein e i tentativi fatti in Francia per creare un uomo artificiale non possa esser dovuta a mera coincidenza; e crediamo pure che la somiglianza del tema della fanciulla innocente accusata di aver ucciso un bimbo, per colpa dell’infernale tranello del mostro, al fato delle donne virtuose del marchese de Sade non possa neppure essere una coincidenza, tanto più che il nome della donna innocente imprigionata, processata e giustiziata è proprio Justine.

Il sogno di Mrs. Shelley era stato ispirato da un passo che aveva letto in Erasmus Darwin il quale, come gli scienziati e i fabbricanti di automi in Francia, faceva esperimenti per creare artificialmente la vita. È poi da ricordare che anche Horace Walpole pretendeva che il suo Castello di Otranto fosse stato ispirato da un sogno.

Ci sono in Frankenstein echi della Ballata del vecchio Marinaio del Coleridge; tale l’aspetto stesso del narratore («i suoi occhi scintillanti si posano su di me con tutta la loro malinconica dolcezza» dice Walton nella quarta lettera preliminare), tale la regione polare attraverso la quale ha luogo l’ultimo folle inseguimento; e certamente l’immagine del cervo ferito nel capitolo IX venne ispirata dal famoso passo di William Cowper (The Task, III, 108-20).

Ci sono pure anticipazioni del Demone della Perversità di Poe («Il caso, o meglio l’influenza malefica, l’Angelo della distruzione, che aveva rivendicato un potere assoluto su di me dal momento in cui avevo mosso i primi passi riluttanti fuori dalla porta della casa di mio padre, mi condusse per prima cosa da Monsieur Krempe, professore di filosofia naturale»), e perfino un’anticipazione della caccia di Achab a Moby Dick nell’implacabile inseguimento del mostro, assegnato dal Cielo.

Così per le lontane ripercussioni del tema principale e per il grandioso scenario attraverso il quale si svolge la folle caccia, il romanzo di Mrs. Shelley può considerarsi la più riuscita espressione della scuola gotica, malgrado le frequenti convenzionalità di frase e di situazione, e le disarmanti ingenuità che vi si incontrano talvolta.

Nel romanzo della Shelley ci son tutti gli elementi d’un buon film, qualunque cosa possa pensarsi di quello che ne fu effettivamente fatto; si veda ad esempio la spettacolosa fine, che suona come il copione di un tipico finale hollywoodiano:

«E così dicendo saltò fuori dalla finestra della cabina, sulla zattera di ghiaccio che galleggiava vicino alla nave. Ben presto fu trascinato via dalle onde, e scomparve lontano, nell’oscurità».

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