Finale Campiello 2016: Le cose semplici, di Luca Doninelli

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Redazione BookToBook
01 Giu 2016

Un giovane incontra a Parigi una ragazzina enfant prodige della matematica e i due s’innamorano, si fidanzano, si sposano. Lei, poco più che ventenne, va in America. Ma il mondo s’inceppa e in un batter d’occhio tutto finisce: niente più petrolio, niente più energia elettrica, commercio né moneta, niente più regole sociali. Ovunque solo guerre e carneficine. Il mondo si imbarbarisce e la sua caduta coglie i due innamorati ai due lati dell’oceano, senza possibilità di comunicare. Per vent’anni i due vivranno lontani, lei ha una vita durissima, lui comincia a scrivere per non dimenticarla, finché, dopo tanti anni, i due si ritroveranno, accesi dal fuoco della passione e dal bisogno di verità.

Su Le cose semplici di Luca Doninelli, in finale per il Premio Campiello 2016, Paolo Di Paolo scrive, nella sua recensione su La Stampa: «È un romanzo imponente e misterioso, che arriva a oltre dieci anni dall’ultimo. Ha una lingua semplice e calma – ed è proprio questa calma a risultare strana e infine allarmante.» E aggiunge, più avanti: «Uno slancio, un’allucinazione che consenta di recuperare intatta la domanda che la letteratura, secondo Doninelli, ha perso di vista: che cos’è l’uomo?»

Le domande aperte dal romanzo sono tante, e ronzano in testa ben dopo la lettura: il nostro bisogno di vivere una vita che si possa dire umana, di gioia ma anche di un dolore dotato di senso, è destinato a infrangersi contro il muro del potere, della superficialità, del pensiero indotto e dei luoghi comuni? O può trovare soddisfazione?

«Qualcosa di indefinibile, che non si poteva ridurre alla sua intelligenza, usciva da lei, una forza sterminata, dalla quale avrei potuto restare incenerito. Credevo di sapere che cos’è un uomo. Un secolo di letteratura mi aveva insegnato di cosa è capace un uomo. Auschwitz, Hiroshima, i Gulag, le foibe, il tutto mescolato con Freud, Nietzche, Proust, kafka, Heidegger, Hemingway, Grossman. Ma quello che avevo davanti a me era qualcosa di più.»