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La diseducazione (sentimentale) di Cameron Post

La diseducazione di Cameron Post è, prima di tutto, un libro del 2012 di Emily Danforth che oltre ai premi e ai riconoscimenti vinti ha avuto l’enorme merito di svelare l’esistenza delle realtà “educative” tollerate dalle autorità statunitensi nonostante al loro interno i diritti umani diventavano privilegi da conquistare. In che modo? Negando la propria identità di genere.

«Dici che finiremo nei guai, se ci scoprissero?» mi domandò Irene.
«Sì» dissi subito, perché anche se nessuno mi aveva mai detto espressamente che non bisogna baciare una ragazza, era sempre stato sottinteso.
Le ragazze baciano i ragazzi e viceversa, in classe nostra, in tivù, nei film, nel mondo. Era così che funzionava: maschi e femmine, tutto il resto ero anormale.
E anche se avevo visto ragazze della nostra età tenersi per mano o camminare a braccetto, e probabilmente alcune di loro si erano allenate nel bacio una con l’altra, sentivo che quel che avevamo fatto noi nel fienile era diverso. Qualcosa di un po’ più serio, da grandi.

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Da quel lontano 2012 a oggi La diseducazione di Cameron Post di strada ne ha fatta e oltre ai premi e riconoscimenti internazionali, oltre a essere finalmente arrivato nelle librerie italiane è diventato anche un film, vincitore dell’ultimo Sundance Film Festival, acclamato dalla critica che ha potuto vederlo in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e in uscita nelle sale italiane il prossimo 31 ottobre.

A dirigere la pellicola interpretata dalla magnifica  Chloë Grace Moretz, la regista americana di origine iraniana Desiree Akhavan, figlia di rifugiati dalla rivoluzione khomeinista e reduce dal successo del suo lungometraggio di esordio, Appropriate Behavior, inserisce il suo film in quel filone di storie di reclusione che affondano le proprie origini in Qualcuno volò sul nido del cuculo.
Anche La diseducazione di Cameron Post ha infatti la sua sadica e crudele infermiera Ratched che si occupa degli “ospiti” del God’s Promise mentre in Rick risiede sicuramente il personaggio più tragico,  una sorta di capo scout armato di chitarra e buone intenzioni che è a sua volta un omosessuale “diseducato”.

«Gli ospiti del centro, tutti adolescenti attratti da persone del loro stesso sesso, vengono “riprogrammati” partendo dal presupposto che essere gay sia peccato e che l’età adulta sia la stagione in cui ci si deve disfare di tutto quanto di trasgressivo si è commesso durante l’adolescenza.»

Dopo aver letto La diseducazione di Cameron Post la regista ha detto:

«È un libro onesto e parla di molte cose. Parla di adolescenza, ma anche di omosessualità, di amore e della scoperta di sé stessi. Mentre lo leggevo avevo le farfalle nello stomaco. […] Sono americana ma sono figlia di immigrati iraniani. Da sempre ho sentito il bisogno di comprendere il significato del bisogno d’appartenenza. Crescendo mi sono resa conto che non è qualcosa che a che fare con l’incasellamento. I social, per esempio, ci trattano come se fossimo dei pacchetti preconfezionati… pensiamo agli hashtag di Instagram. Mentre invece nella vita ci sono tante opzioni, tante coincidenze.»

Ma il film di Desiree Akhvan, così come il libro, non è una tragedia in senso stretto, o almeno non lo è nei toni.

Ai necessari racconti di violenza e coming out con cui la letteratura e il cinema lgbt hanno dovuto fare i conti per lungo tempo, si sostiuiscono dramedy ben confezionate come La diseducazione di Cameron Post (ma anche Transamerica o la serie tv Transparent) che raccontano la gioia dell’esere gay, anche in un contesto drammatico con cui i protagonisti  dovranno necessariamente fare i conti, ma con una sola arma: l’ironia, quella che Cameron e due suoi amici all’interno del campo religioso riusciranno a mantenere intatta di fronte alle difficoltà.

«Forse non sono ancora diventata me. Non so come si faccia a capire con sicurezza quando finalmente si è diventati se stessi.»


Alcune curiosità su La diseducazione di Cameron Post


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