Per te morirei – L’inedito di Francis Scott Fitzgerald

Scritto da:
Redazione BookToBook
28 Apr 2017

Fitzgerald torna in libreria!

In contemporanea con gli Stati Uniti arriva in Italia Per te morirei, una raccolta di racconti inediti o dispersi del grande scrittore.

I nuovi scritti di Fitzgerald hanno titoli tipo Per te morirei o L’amore, che male. Sono riemersi dagli archivi di Princeton. Solo qualche topo di biblioteca ne conosceva l’esistenza. Quelli di Fitzgerald sono racconti inediti, respinti o dimenticati, soggetti per Hollywood che non sono stati promossi, passioni, tradimenti, disillusione, suicidi…

Nei testi ora tradotti in italiano c’è tutto il Francis Scott Fitzgerald al crepuscolo.

Un genio che sul finire diceva di sé: “Non sono un grand’uomo, ma penso che nella qualità del mio talento, e nel sacrificarlo, vi sia una specie di grandezza epica.”

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Leggi il primo capitolo di Per te morirei


Quello qui sopra non è il mio vero nome – il tizio a cui appartiene mi ha permesso di usarlo per firmare questo racconto.

Il mio vero nome non intendo divulgarlo.

Faccio l’editore.

Pubblico romanzi torrenziali sul primo amore scritti da vecchie zitelle del South Dakota, e polizieschi pieni di uomini di classe e ragazze Apache con «occhi neri come la notte», e saggi su questo o quest’altro pericolo epocale o sul colore della luna a Tahiti, firmati da professori universitari o da altri disoccupati. Non pubblico romanzi di autori sotto i quindici anni. Soci e socialisti (mi confondo sempre) mi insultano perché dicono che penso solo ai soldi. È vero – non penso ad altro. Servono a mia moglie. I miei figli non fanno che chiedermene. Se mi offrissero tutti i soldi che ci sono a New York non rifiuterei di certo. Preferirei far uscire un libro con cinquecentomila copie di prenotato che scoprire Samuel Butler, Theodore Drieser e James Branch Cabell in un solo anno.

Lo preferireste anche voi, se foste del mestiere.

Sei mesi fa avevo chiuso il contratto per un libro che sembrava un successo garantito. L’autore era Harden, uno specialista di parapsicologia – il dottor Harden. Il suo primo libro – l’ho pubblicato nel 1913 – si era attaccato ai vertici delle classifiche come un granchio di Long Island piattola, e all’epoca la parapsicologia non era neppure lontanamente in voga come oggi. Avevamo presentato il secondo come una granata lacrimogena. Suo nipote, Cosgrove Harden, era caduto in guerra, e il dottor Harden aveva scritto – con buon gusto e reticenza – un resoconto di come, attraverso vari medium, era riuscito a mettersi in contatto con lui.

Il dottor Harden non era certo un arrampicatore accademico.

Psicologo di fama, con un dottorato a Vienna e una laurea honoris causa a Oxford, insegnava all’università dell’Ohio. Il suo libro non era una furbata, e neppure l’opera di un credulone. Il suo approccio era permeato da una grande serietà di fondo. Ad esempio, a un certo punto del testo menzionava un giovane di nome Wilkins che si era presentato alla sua porta sostenendo che il defunto gli doveva tre dollari e ottanta cent. Aveva chiesto al dottor Harden di scoprire che intenzioni avesse il defunto al riguardo; ma Harden si era rifiutato categoricamente di farlo. Formulare una richiesta simile gli sembrava un po’ come pregare l’angelo custode per un ombrello smarrito.

Ci avevamo messo tre mesi a preparare la pubblicazione. Avevamo composto tre varianti del frontespizio con caratteri diversi, e richiesto due prove di copertina a cinque costosissimi illustratori prima di trovare la combinazione ideale. L’ultima bozza era stata riletta da non meno di sette redattori esperti, per evitare che anche solo la coda troppo tremula di una virgola o un sospetto di incertezza nel nero di una maiuscola offendesse l’occhio esigente del Grande Pubblico Americano.

Quattro settimane prima dell’uscita le copie erano state spedite in enormi casse verso i mille nord della bussola letteraria. Solo a Chicago ne avevamo mandate ventisettemila. Settemila a Galveston, Texas. Ne avevamo scagliate un centinaio persino verso Bisbee, Arizona, e Redwing, Minnesota e Atlanta, Georgia – non senza un sospiro dolente. Una volta sistemate le grandi città avevamo disseminato il continente di piccoli lotti da venti o trenta pezzi, un po’ come chi disegna un mandala completa i dettagli cospargendo il tutto, con la mano, di un leggero spruzzo di sabbia finissima.

La tiratura effettiva della prima edizione era di trecentomila copie.

E nel mentre l’ufficio stampa aveva lavorato indefessamente sei giorni a settimana, senza risparmiare su nulla: corsivi, sottolineature, maiuscole, maiuscolette; preparando slogan, fascette, profili personali e interviste; selezionando fotografie in cui il dottor Harden appariva pensoso, assorto, meditabondo, e altre di lui con una racchetta da tennis, o una mazza da golf, o una cognata, o un oceano. Avevamo compilato pacchi e pacchi di guide alla lettura, e preparato pile infinite di copie omaggio destinate ai critici di mille quotidiani e settimanali.

La data d’uscita era fissata per il 15 aprile. Il 14 una muta trepidazione era calata sugli uffici, e giù, in libreria, i commessi occhieggiavano nervosamente le vetrine vuote in cui tre provetti vetrinisti, nel corso della notte, avrebbero disposto le copie fresche di stampa in mucchi e mucchietti e pile e cerchi e cuori e stelle e parallelogrammi.

La mattina del 15 aprile, alle nove meno cinque, la capo-stenografa – la signorina Jordan – era svenuta per l’emozione nelle braccia di un socio di minoranza. Alle nove in punto un anziano signore coi favoriti aveva comprato la prima copia de L’aristocrazia del mondo spirituale.

Il capolavoro era uscito.