Pulitzer 2017: Panama Papers vince per il giornalismo divulgativo

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Redazione BookToBook
11 Apr 2017

Il Premio Pulitzer 2017 per il giornalismo divulgativo va all’International Consortium of Investigative Journalists, McClatchy e Miami Herald (di cui fa parte anche l’Espresso), per l’inchiesta Panama Papers: un’inchiesta che ha visto la collaborazione di oltre 300 reporter in tutti i continenti per portare alla luce l’infrastruttura nascosta e su scala globale di paradisi fiscali offshore.

Bastian Obermayer e Frederik Obermaier raccontano la nascita e l’evoluzione dell’intera vicenda: un intreccio degno di un maestro del giallo che avrebbe dell’incredibile se non fosse totalmente vero e costituisse una pagina fondamentale della nostra storia. Di seguito puoi leggerne un breve estratto.


L’inizio – Un estratto da Panama Papers, Gli affari segreti del potere


Il migliore amico del presidente russo. Uomini d’affari che collaborano con la presidentessa argentina e il suo defunto marito e presidente uscente. Un misterioso tedesco in possesso di 500 milioni di dollari.

Diciamocelo, per avviare un’inchiesta possono bastare premesse molto più scarne.

Pochi giorni dopo il primo contatto con la mia fonte, d’accordo con il caposervizio Hans Leyendecker, decidiamo che di questa storia si sarebbe occupato lo stesso team che aveva già lavorato a diverse inchieste simili, ovvero noi due, i «fratelli Obermay/ier», come ci chiamano in redazione da quando Kurt Kister, il caporedattore, ci ha soprannominati così nel corso di una conferenza stampa.

Per il resto, almeno all’inizio cerchiamo di ridurre al minimo le persone coinvolte. In fondo, chi può essere certo che i dati siano autentici? O che sia possibile verificarli? E se non ne venisse fuori alcuna storia interessante?

Il nostro piano prevede prima di tutto l’analisi accurata dei documenti, per poi valutare come e quando pubblicare i risultati. Decidiamo quindi di approfondire la questione dei traffici di Putin (dai dati in nostro possesso si evince che il nome del suo migliore amico è legato a tre società offshore), ci procuriamo del materiale relativo all’azione legale del fondo speculativo NML contro l’Argentina e continuiamo a fare ricerche sul misterioso ex manager della Siemens e sui suoi 500 milioni di dollari in oro. Ma concentrarsi solo su questi tre casi diventa sempre più difficile: la nostra attenzione è costantemente richiamata da nuove società e nuovi potenziali scoop.

Dalla notte del primo contatto con la nostra fonte, infatti, il materiale continua a crescere senza tregua, facendo saltar fuori nomi sui quali è impossibile non indagare oltre. Ministri sudamericani, nobili tedeschi, banchieri statunitensi.

In poco tempo abbiamo già a disposizione più di 50 gigabyte di dati, divisi su due chiavette usb: due migliaia di cartelle digitali. La maggior parte sono documenti emessi da Mossack Fonseca al momento della creazione di società di comodo: certificati, copie di passaporti, elenchi dei detentori di quote e dei gerenti, ricevute, e-mail. Un sistema di archiviazione molto chiaro e pratico, anche per noi.

Migliaia di società di facciata. Migliaia di uomini che sembrano avere un valido motivo per occultare i propri affari. Migliaia di potenziali scoop. L’unique selling point o, per così dire, la competenza fondamentale delle società offshore è la garanzia dell’anonimato. Un nome insignificante funge da scudo protettivo, dietro il quale nessuno può sapere chi si nasconda.

Naturalmente possono esserci molte ragioni per servirsi delle società offshore, e di per sé il fatto di possederne una non costituisce reato. Tutto dipende dall’uso che se ne fa. Ma un fatto resta: nella maggior parte dei casi si ricorre a una società offshore per nascondere qualcosa, che sia dal fisco, da un’ex moglie, da un ex partner in affari, oppure dalla curiosità morbosa della società. Questo qualcosa che si sente l’esigenza di occultare possono essere immobili, conti in banca, dipinti, investimenti, azioni, titoli di ogni sorta.

L’esperienza però ci insegna che spesso l’anonimato garantito dalle società fantasma viene sfruttato da chi fa affari che devono rimanere segreti. E quindi da trafficanti di armi, droga ed esseri umani e da altri criminali. Da investi- tori che non vogliono rendere nota la loro identità né le loro reali intenzioni. Da politici di alto rango che vogliono far uscire dallo Stato il proprio patrimonio, probabilmente perché è stato ottenuto attraverso canali illegali. Da società che se ne servono per elargire mazzette. E l’elenco potrebbe continuare.

E adesso noi abbiamo tra le mani dati riservati che potrebbero portare alla luce migliaia di casi simili, l’equivalente digitale di un enorme raccoglitore che nessun giornalista prima d’ora ha mai potuto sfogliare.


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